Scelsi di vivere qui, di cavalcare la precarietà,
Sarò l’ultimo degli idealisti, lo Zero che vedi
Renato Zero, Una canzone da cantare avrai
A quarant’anni esatti dal suo primo album No! Mamma, no! il cantautore romano dà alle stampe Amo. Capitolo I, quattordici tracce inedite chiamate a raccolta per stilare il bilancio di una vita. Realizzato tra Londra, Budapest e l’Italia il disco vanta tre diverse produzioni: Danilo Madonia (braccio destro dell’artista dal 2005), Celso Valli (già al fianco di Zero nel 2001 per alcuni brani dell’album La curva dell’angelo) e il celebre Trevor Horn (storico produttore britannico di artisti del calibro di Paul McCartney, Marc Almond, Robbie Williams e Grace Jones); sono ben quattro i brani di Amo targati Horn, con arrangiamenti e direzione d’orchestra di Julian Hinton, e altri ne seguiranno nel secondo capitolo dell’opera (in uscita, salvo posticipi, entro la fine dell’anno). Strutturato come un concept Amo si impone già a un primo ascolto per la sua impronta definitiva, quasi testamentaria. Un disco “definitivo”, così l’ha definito lo stesso Renato motivando la scelta del sigillo di ceralacca in copertina. Ogni testo è una carezza sul passato, sulle figure amate, presenti o perdute, sui luoghi, sulle strade di una giovinezza spesa complessivamente. L’ambizione, la sperimentazione, il travestimento come affermazione dell’identità devono fare i conti con il disprezzo e la diffidenza: <<Chiedi di me a quei bigotti laggiù, i dubbi che seminai non li sciolsero mai. Poveri cristi! Corpi deserti!>>
Ma c’è spazio soprattutto per l’amore ricevuto, e Renato avverte l’urgenza e il dovere di ringraziare, di restituire. Il primo grazie va al pubblico, a quel sodalizio speciale che chi ne è fuori fatica a comprendere, e lo scrive nero su bianco nelle note di presentazione del disco: <<L’amore mi ha guarito facendomi male. Mi ha sorpreso migliorandomi. È entrato nelle mie canzoni con irruenza e dolcezza. Ma senza mai palesarsi diverso da come l’ho sempre pensato, intuito e successivamente incontrato… Tu l’hai capito chi è? È il mio pubblico!>> Un grazie all’amico Lucio Dalla (nella delicata Lu): <<Rimasi sorpreso vedendoti lì, chi stavo cercando esisteva così. Fu un vero sollievo, alieno anche tu. Per gli stravaganti c’è un premio lassù…>> e un grazie persino alla portinaia di via Fonte Buono Angelina, custode per metafora di un’intera giovinezza: <<Angelina che saluti gli anni verdi miei. Uscivo e non sapevo se sarei tornato mai. T’affacciavi alla finestra, mi dicevi non c’è posta, e intanto soffrivi insieme a me. Mentre andavo alla guerra a combattere quei no, Angelina il tuo saluto più di una volta mi salvò…>> Amo si riallaccia idealmente a Via Tagliamento 1965-1970 (doppio album del 1982 prodotto da Simon Boswell), la strada storica del Piper, ed è infatti questa la sede scelta significativamente per la conferenza stampa; le tematiche di brani come Piper Club, Ragazzo senza fortuna e Angeli riaffiorano con rinnovata consapevolezza in i ’70, Chiedi di me, e nei già citati Lu e Angelina. <<Ci fu amore nelle notti del Piper, – sempre nell’incipit di Amo – sui cellulari della polizia che ci conducevano regolarmente al più vicino commissariato per i soliti accertamenti. Interrompendo le nostre lezioni di estetica comparata e trasgressioni applicate. Amore in cima al pollice che esibivamo per scroccare un passaggio in macchina. Ancora amore mentre eravamo in fila per essere scelti per una comparsata a Cinecittà. Amore nella lunghezza dei capelli. Nelle gonne sempre più corte. Nella digestione delle ingiurie di quei quattro borghesucci senza fissa dimora.>>
A sessantadue anni, con più di trenta album alle spalle e una carriera, come l’ha definita lui, da “operaio specializzato in manutenzioni straordinarie di teste sognanti”, Renato sceglie di ripartire dal Piper, dal luogo del delitto, nido e fucina di idee, speranze, ambizioni… in una Roma, la stessa di Pasolini e di Fellini, che sembra lontana ormai anni luce. La nostalgia, venata appena di disincanto, lascia il posto alla consapevolezza e a un’ispirazione sempre prodiga e operativa. Amo è un signor disco, uno dei lavori più riusciti dell’ultima produzione di Zero, e conquista traccia dopo traccia, seduce, coinvolge, convince. La pagina più intima e personale è sicuramente Oramai, dove si racconta della fine di un amore: <<Lentamente ci consumiamo in questa folle ricerca. Il nome mio scorderai. Prendimi complessivamente, al prezzo che tu vorrai. Oramai dopo la fiamma, la cenere…>> È il Renato di sempre, con gli alibi di sempre ma forse un tantino più a nudo. Il suo segreto amore resta blindato, tra le righe ma comunque presente.
Un’altra perla del disco è Un’apertura d’ali, consegnata in eredità a Renato dalla moglie di Gian Carlo Bigazzi (il grande autore scomparso pochi mesi fa): <<L’amore ci fa prigionieri, eppure sembra libertà. Ma ci sarà una sera che capirai di me, silenzi e chiaroscuri, lo stormo di pensieri che volano da te…>> In Una canzone da cantare avrai: <<Per sfuggire al destino compongo canzoni, e m’invento emozioni se mai non ne avrò. E mi piace inseguire impossibili storie, mantenendo gli alibi di sempre. Finché avrò un movente insisterò…>> Tracce di vita, ispirate e autentiche, tutte composte (nella fase di stesura preliminare) nel maggio dello scorso anno; anche il Capitolo II è pronto, anzi “chiuso”, a voler usare l’espressione di Renato, che come unica anticipazione ha segnalato la presenza di un brano musicato dal maestro Armando Trovajoli. Il titolo dell’album, fin troppo esaustivo e categorico, non tragga però in inganno: di canzoni d’amore propriamente dette, a eccezione forse di Oramai, non c’è traccia; Zero, com’è sua consuetudine, racconta l’amore nella sua dimensione più ampia e ben al di là del perimetro di coppia. Più che la passionalità, quindi, a emergere è ancora una volta l’umanità, un sentimento di partecipazione, di riconciliazione e di gratitudine.
Con Amo Zero tira le somme di una vita (la sua e quella della sua generazione cosiddetta piperina) e le consegna generosamente in eredità, come in una sorta di passaggio del testimone. <<Ecco il grande sogno che riparte – scrive in I ’70 – ogni epoca ha il suo, un sogno che ti segnerà per sempre… Per lui combatterai, figli e problemi avrai (…) Dal nostro esempio tu riceverai le risposte che cercherai>> Da un punto di vista squisitamente tecnico Amo è un lavoro impeccabile. Gli arrangiamenti, ben amalgamati nonostante le tre diverse produzioni, non si discostano di molto dal repertorio precedente, a parte la già citata Chiedi di me (una coraggiosa ibridazione tra orchestra e elettro-dance, realizzata anche in una versione remix disponibile sulla deluxe edition digitale e su vinile maxi singolo a tiratura limitata). L’apporto di Trevor Horn non ha stravolto più di tanto la struttura consolidata dello stile di Zero (contrariamente a quanto fece Geoff Westley nel 1989 in Voyeur), limitandosi a rinvigorirla, tutt’al più a riaggiornarla, ma senza traumi.
Caso unico in Italia, il cantautore si esibirà al PalaLottomatica di Roma per un intero mese di concerti. Amo in Tour debutterà il 27 aprile con un’orchestra di cinquantasei elementi diretta dal maestro Renato Serio e con un corpo di ballo di sedici ballerini diretto da Bill Goodson. In un’ala del palazzetto sarà inoltre allestita una mostra con alcuni dei più celebri costumi di scena indossati da Zero dai primi anni settanta fino alle performance più recenti.
Leone Maria Anselmi
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea Amedit n. 14 – Marzo 2013
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