“…Ora non leggi più gli articoli che parlano di te,
non leggi più le recensioni dei tuoi libri, ma allora era allora,
e non avevi ancora imparato che ignorare ciò che la gente dice di te
giova alla salute mentale dello scrittore.”
(Paul Auster, Diario d’inverno)
Protagonista, testimone e sopravvissuto. È il corpo dello scrittore e, di riflesso, quello dell’uomo che di questo corpo ha fatto di volta in volta la sua casa, il suo letto, la sua strada, il suo diario quotidiano. A sessantaquattro anni Paul Auster – una delle espressioni più alte della letteratura americana contemporanea – volge il suo sguardo indietro (come già aveva fatto nei precedenti memoir L’invenzione della solitudine e Sbarcare il lunario) per tentare di tracciare un bilancio tutto particolare: un’autobiografia del proprio corpo. Diario d’inverno non ha (e non vuole avere) la composta e ragionata pesantezza di un’autobiografia tradizionale, né tanto meno intende offrirsi con quei requisiti di frammentarietà ascrivibili alle pagine di un diario; appare piuttosto come una selezione di eventi, tra episodi marginali e circostanze determinanti, una disamina che si traduce fin dalle prime pagine in una rievocazione al tempo stesso partecipe e disincantata. La narrazione in seconda persona stabilisce a priori una scissione tra corpo presente e corpo passato, ed è in questo distacco che la scrittura si fa ponte, cucitura, riappropriazione. Lo scrittore incarna il corpo residuo, il corpo sopravvissuto a tutti i corpi transitori che l’hanno preceduto: il corpo-seme dell’infanzia, il corpo acerbo dell’adolescenza, quello in fiore della giovinezza, quello in frutto della maturità, fino ai primi assaggi della caducità (…<<Fuori l’aria è grigia, quasi bianca, il sole non si vede. Ti domandi: quante mattine restano? Una porta si è chiusa. Un’altra si è aperta. Sei entrato nell’inverno della tua vita.>>) Non c’è nostalgia (per lo meno non quella facile e lacrimevole) nella dinamica del recupero memoriale, ma un’asciutta e sincera constatazione dei piaceri e dei dolori. <<Non hai il pallino dei bei tempi andati. Ogni volta che ti capita di scivolare in uno stato d’animo nostalgico e piangere la perdita delle cose che sembravano rendere la vita migliore di quanto non sia oggi, dici a te stesso di fermarti a riflettere bene, riguardando l’Allora con la stessa severità con cui guardi l’Adesso, e in breve concludi che c’è poca differenza fra l’uno e l’altro, che Adesso e Allora grosso modo sono uguali.>> Auster segue gli spostamenti del suo corpo nel corso degli anni, ed elenca scrupolosamente tutta la cronologia dei domicili occupati tra l’Europa e gli Stati Uniti. Le abitazioni, le città, i mille mestieri per sbarcare il lunario, l’affinata arte della fame, l’ostinazione, la necessità della scrittura… fino alle prime sofferte conquiste e ai primi trionfi. Le primavere, le estati, gli autunni, gli inverni. Stagione dopo stagione il corpo è chiamato a incassare calci e carezze in ossequio ai capricci di un clima sempre incerto, costantemente mutevole, governato dal caso e dalle coincidenze.
Nella letteratura di Auster l’inaspettato (il fortuito, l’imprevedibile, il casuale…) riveste, nel bene e nel male, un ruolo cruciale. Più che il destino, dunque, il caso: quella coincidenza speciale, misteriosa, irripetibile che fa sì, ad esempio, che due persone si incontrino e si innamorino; ed è la stessa coincidenza speciale, però, che è capace di generare un dolore, un incidente, una morte, l’irreparabile. In ogni romanzo di Paul Auster il caso è protagonista-osservato speciale, una specie di forza maggiore in perenne ingerenza, quasi si trattasse di una legge di natura sottesa alle relazioni umane; lo scrittore ne subisce la fascinazione tentando talvolta di decifrarne i disegni, ma senza sovrapporlo al concetto romantico di destino (o predestinazione). Diario d’inverno arriva a trent’anni di distanza da L’invenzione della solitudine (1982) e per molti versi ne costituisce il compendio; se nel primo memoriale ad essere rievocata è la figura del padre, in quest’ultimo Auster si sofferma su quella della madre (venuta a mancare una decina d’anni fa), e lo fa con estrema delicatezza, quasi in punta di piedi. <<…In pubblico continuava a fare colpo anche a settantacinque anni, perché in un angolino della mente si vedeva ancora una diva, la donna più bella del mondo, e ogni volta che emergeva dalla sua vita rimpicciolita, in gran parte reclusa, la sua vanità appariva intatta. Molto di ciò che era diventata ti rattristava, ma ti era impossibile non ammirarla per quella vanità, per la sua capacità di raccontare una bella barzelletta quando c’era gente che ascoltava. Spargeste le sue ceneri nel bosco di Prospect Park.>> Il corpo è anche il corpo degli altri: il corpo generante di un genitore, il corpo generato di un figlio, quello amato e attraversato di una moglie, il corpo estraneo di uno sconosciuto e quello invisibile di un amico perduto… e la scrittura stessa che prende corpo sulle prime pagine bianche dell’inverno.
Diario d’inverno pecca solo per la sua brevità, ed è un’altra piccola perla nella nutrita bibliografia del grande scrittore americano. Tutte le opere di Paul Auster sono state tradotte in italiano per Einaudi.
Massimiliano Sardina

“Nativity” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 14 – Marzo 2013
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[…] Protagonista, testimone e sopravvissuto. È il corpo dello scrittore e, di riflesso, quello dell’uomo che di questo corpo ha fatto di volta in volta la sua casa, il suo letto, la sua strada, il suo diario quotidiano. A sessantaquattro anni Paul Auster – una delle espressioni più alte della letteratura americana contemporanea – volge il suo sguardo indietro (come già aveva fatto nei precedenti memoir L’invenzione della solitudine e Sbarcare il lunario) per tentare di tracciare un bilancio tutto particolare: un’autobiografia del proprio corpo. Diario d’inverno non ha (e non vuole avere) la composta e ragionata pesantezza di un’autobiografia tradizionale, né tanto meno intende offrirsi con quei requisiti di frammentarietà ascrivibili alle pagine di un diario; appare piuttosto come una selezione di eventi, tra episodi marginali e circostanze determinanti, una disamina che si traduce fin dalle prime pagine in una rievocazione al tempo stesso partecipe e disincantata. [Continua a leggere…] […]