L’OPG E IL SUO SUPERAMENTO | Le problematiche della legislazione sulle misure di sicurezza

banner opgdi Gaetano Interlandi

OPG1L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), il suo superamento e le problematiche della legislazione sulle misure di sicurezza, è un tema molto sentito e attorno al quale girano posizioni diverse. Quello che sta succedendo è un fatto epocale, l’Italia è stato il primo paese al mondo a chiudere gli Ospedali psichiatrici e sarà il primo a chiudere i Manicomi criminali, sostituendoli con una organizzazione di servizi di migliore qualità e adeguati alle moderne conoscenze scientifiche. È opportuno quindi ripercorrere alcune tappe significative che riguardano queste strutture. Il 14.2.1904 in Italia venne approvata la legge n. 36, “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati”, che istituiva i manicomi. Allora venivano chiamati manicomi, successivamente tra gli anni “60 e “70 vennero denominati ospedali neuropsichiatrici. Sino al 1975 l’OPG veniva denominato Manicomio Criminale. Faccio questa precisazione sui cambiamenti di denominazione perché le parole hanno un significato e peso legato ai contesti storici e nel nostro caso si trattò solo di un cambiamento nominale e non di sostanza. Il 13.5.1978 venne approvata la legge 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” (poi inserita nella Legge n. 833 del 23.12.1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale) che chiude gli ospedali psichiatrici con ragioni opposte a quelle per cui erano stati aperti, definendoli antiterapeutici e proibendo la possibilità di costruirne altri all’art.64. Il 17.2.2012 venne approvata la legge n. 9 che all’art.3-ter “Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”, dispone la chiusura degli OPG entro il 31.3.2013 e che le misure di sicurezza del ricovero in OPG siano eseguite esclusivamente all’interno di strutture sanitarie i cui requisiti strutturale tecnologici e organizzativi verranno definiti da un successivo decreto entro il 31.3.2012. Questa legge non entra nel merito della questione della riforma del codice penale riguardante il nodo della imputabilità e delle misure di sicurezza, questione che pure è fondamentale, ma affronta un aspetto del problema che è quello sanitario riguardante la qualità della cura e della riabilitazione del reo affetto da malattia mentale, che come è stato evidenziato dai risultati delle ispezioni del Sen. Ignazio Marino, Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, è estremamente urgente risolvere considerato il degrado e l’antiterapeuticità in cui versano gli OPG.

Autore: BDIPIETRANTONIO
Autore: BDIPIETRANTONIO

Già nel ’78, all’indomani della legge 180, si parlava di incostituzionalità dell’esistenza degli OPG, perché essi erano una conseguenza della legge 1904. Una volta che la legge 1904 veniva abolita dalla legge 180, di conseguenza cadevano anche i presupposti che giustificavano l’esistenza dell’OPG. Tuttavia quest’ultimo continuava ad esistere per il motivo che il ministero di grazia e giustizia non aveva recepito (e non ha ancora recepito del tutto) i cambiamenti delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di malattia mentale, reato e misure di sicurezza che restavano e restano tuttora permeate del paradigma scientifico della cultura ottocentesca. Ora finalmente una legge chiude gli OPG, anche se non va certo alla radice vera della problematica che riguarda la revisione del concetto di imputabilità e di pericolosità sociale, ancora ancorata a una visione ottocentesca ormai arretrata e superata solo in parte dalla sentenza n° 253 /2003 della corte Costituzionaleche ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 del Codice Rocco 1930 che obbligava il ricovero in OPG “nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale”.

Il postulato scientifico che giustificava l’esistenza dell’ospedale psichiatrico era dato da un modello organicistico e biologistico della malattia mentale, che veniva assimilata al modello delle malattie infettive. Il malato mentale ha una malattia nel cervello, qualche virus, qualche batterio, qualche cosa che lo fa sragionare e che provoca la pazzia. Allora bisognava prendere questa persona, la si doveva isolare, chiudere in una struttura, studiarla per scoprire quali sono le cause della malattia e così si proteggeva anche la società estirpando e separando dal suo contesto il malato pazzo. Infatti tra la fine dell’800 e i primi ‘900 furono scoperte molte malattie infettive e molti cervelli delle persone decedute in ospedale psichiatrico venivano sezionati alla ricerca del virus della malattia mentale, che non è stato mai trovato e che non lo si troverà mai. Il modello, infatti, che stava alla base dell’ospedale psichiatrico era un modello riduzionistico, biologistico che non considerava la complessità della mente e la complessità dell’uomo, riduceva l’uomo a puro organo, alla pura anatomia del cervello, disconoscendo e scotomizzando le influenze e le modificazioni che l’ambiente sociale e relazionale provoca nell’organo cervello, contribuendo così alla nascita della mente che appunto è un intreccio inestricabile e inseparabile di natura e cultura che si influenzano e autoalimentano reciprocamente.

OPG2Dal 1904 al 1978 nel mondo scientifico sono avvenuti progressi notevolissimi, oltre che nel campo della biologia e medicina anche nel campo della psicologia e della sociologia. Tra gli anni “50 e “70 c’è stato in Italia un acceso dibattito per quanto riguarda l’eziologia delle malattie mentali, tra organicisti (che sostenevano l’ipotesi che le cause fossero organiche), gli psicologisti (che sostenevano l’ipotesi che le cause fossero di natura psicologica, sul modello di Freud e della psicodinamica) e i sociologi che postulavano un modello sociologistico come causa delle malattie mentali. Tra gli anni “80 e “90 tutte queste dispute sono state ricomposte e nella comunità scientifica c’è ormai un’ampia condivisione dell’ipotesi multifattoriale come causa delle malattie mentali; l’ipotesi ha ricevuto numerose conferme anche sul piano strumentale come dimostrato da ricerche scientifiche rese possibili dalla tecnologia (RMN,PET, ecc.) in cui viene dimostrata l’influenza ambientale nelle modificazioni biologiche. Questo rafforza sempre più l’idea della complessità della mente umana che è allo stesso tempo natura e cultura, corpo e pensiero e c’è una stretta interdipendenze tra queste dimensioni. I confini tra il biologico, lo psicologico e il sociale non sono così netti e le influenze sono reciproche. E allora un modello complesso, quale quello multifattoriale o multidimensionale della mente umana, comporta una organizzazione di un sistema di cura della malattia mentale diverso rispetto al modello riduzionistico di cui l’ospedale psichiatrico è espressione.

Non solo l’ospedale psichiatrico non si è dimostrato adeguato per curare le malattie mentali ma molti autori già sin dagli anni “50 descrivevano la patogenicità del manicomio poi ridenominato ospedale psichiatrico; cioè che quando uno vi entrava alla patologia primitiva, che aveva causato il ricovero, dopo qualche anno d’internamento si aggiungeva e sovrapponeva un’altra patologia, che non c’entrava con la malattia primitiva, era la patologia da Istituzionalizzazione, consistente in: comparsa di stereotipie, comportamenti caratterizzati da passività/aggressività, perdita del senso del futuro e della capacità di progettarsi, anaffettività, perdita del senso della vita, perdita della working memory e deterioramento. Questa patologia era causata unicamente dall’ambiente patogeno dell’istituzione totale del manicomio o ospedale psichiatrico.

OPG3Di tutte queste cose noi operatori ne abbiamo fatto esperienza con il passaggio dalle modalità di lavoro dentro l’ospedale psichiatrico, dove io ho lavorato molti anni, alle modalità di lavoro nel territorio. I cambiamenti si vedono anche dal punto di vista fisiognomico: in ospedale psichiatrico le persone ricoverate a vita apparivano trascurate, sporche, autistiche, invece i pazienti che io vedo a livello territoriale, dove realizziamo interventi multifattoriale, multidimensionale oltre ad avere un esito migliore mantengono una fisionomia che mostra cura di sé, del vestiario e del corpo. Le motivazioni scientifiche che stanno alla base della legge che chiude ora l’ospedale psichiatrico giudiziario, sono le stesse di quelle che hanno chiuso l’ospedale psichiatrico.

Per quanto riguarda il problema delle misure di sicurezza, da più parti si avverte l’esigenza urgente di rivederle alla luce delle nuove conoscenze scientifiche sulla complessità della mente umana che non può essere ridotta solo a organo cervello ma va vista nelle interazioni relazionali: da questo punto di vista non è più sostenibile il concetto di pericolosità sociale come attributo assoluto caratteristico, genetico, di una persona allo stesso modo del colore dei capelli o della pelle, ma va relativizzata e va vista nel complesso delle interazioni e delle relazioni umane. Numerose ricerche documentano che non c’è equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale e l’OMS riporta il dato che l’incidenza dei reati da ascrivere alla malattia mentale è dell’1%, il che significa che la pericolosità sociale è significativamente e percentualmente molto più alta tra le persone sane. Da questo punto di vista, paradossalmente si potrebbe sostenere che la malattia mentale rappresenta un fattore di protezione rispetto al rischio di pericolosità sociale. Purtroppo ancora la giurisprudenza italiana è dominata dalla concezione ottocentesca Lombrosiana dell’uomo delinquente geneticamente per natura. Tale teoria Lombrosiana è stata smentita dalle ricerche scientifiche moderne ma i codici penali non sono stati rivisitati e sono ancora improntati a conoscenze obsolete che condizionano la cultura non solo giurisprudenziale ma anche quella della comunità civile.

Da venti anni sono impegnato nel lavoro di reinserimento di persone detenute all’OPG di Barcellona e in una recente pubblicazione dello scorso anno ho riportato i dati di questo lavoro: dal 1995 al 2007 hanno trovato accoglienza presso le nostre case famiglia e la nostra Comunità del DSM di Caltagirone 93 utenti autori di reato: il 74% di questi utenti provenivano dall’OPG di Barcellona e il 26% dal carcere, usufruendo delle misure di sicurezza alternative (arresti domiciliari in Casa famiglia o in libertà vigilata). Tutti questi soggetti sono stati integrati socialmente e non hanno recidivato. La nostra esperienza pluriennale è significativa e dimostra che la cura e la riabilitazione della persona ammalata di mente autore di reato è possibile e può dare buoni risultati sulla base della presa in carico da parte del DSM e della elaborazione e attuazione di un progetto terapeutico riabilitativo personalizzato. La nostra esperienza sfata il mito della pericolosità sociale e della necessità di luoghi particolari dove curare l’autore di reato con malattia mentale: basta realizzare in ogni dipartimento le strutture previste dal Progetto Obiettivo nazionale per la salute Mentale 1998-2000, cioè residenze sociosanitarie, centri diurni semiresidenziali, ambulatori territoriali sufficienti in numero e in operatori rispetto alla popolazione, servizi psichiatrici ospedalieri per situazioni di acuzie.

opg_montelupoIn ultimo sento il dovere di evidenziare alcune questioni urgenti avvertite sia dagli operatori sanitari sia dagli operatori degli istituti di pena e anche dalla società civile: l’urgenza del passaggio delle competenze sanitarie dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale col recepimento del DPCM 1 Aprile 2008 e sua immediata attuazione. La regione Sicilia è l’unica regione d’Italia a non avere ancora recepito tale decreto a distanza di anni. Sollecitare il tavolo regionale dei tecnici per accelerare i tempi di chiusura dell’OPG di Barcellona in considerazione del fatto che nonostante gli impegni assunti dai Direttori dei 9 DSM siciliani per la sua chiusura molto poco ancora è stato fatto. Condivido le seguenti proposte fatte dalla Società Italiana di Psichiatria Democratica in merito alle inadempienze delle regioni riguardo alla chiusura degli OPG la cui attuazione accelererebbe i tempi per il loro superamento: Che il Presidente della Conferenza Stato-Regioni costituisca il punto di coesione e raccordo di tutte le strutture interessate alla dismissione, anche al fine di evitare ritardi nei piani attuativi, affinché “nessuno resti indietro” nelle singole regioni dove insistono gli OPG, come in quelle realtà dove gli attuali cittadini ristretti dovranno trovare ospitalità. Che la Commissione richieda al Governo di fissare – attraverso una disposizione legislativa – la data nella quale il processo di dismissione dovrà essere completato in tutte e sei le strutture presenti sul territorio nazionale. A nostro avviso il provvedimento dovrà altresì contemplare il sanzionamento con penalità economiche nei confronti degli Enti inadempienti con l’individuazione di “commissari ad acta” laddove si riscontrassero ritardi nell’attuazione dei programmi. Che le Regioni determinino, a supporto e garanzia dei programmi di dimissione risorse economiche certe ed adeguate che stabilizzino in bilancio anche quelle indicate dal Ministro della Salute e quelle provenienti da quello di Giustizia (cassa ammende). Stigmatizziamo che in diversi casi le Regioni non hanno nemmeno fatto richiesta di questi finanziamenti! In questo modo si potranno garantire progetti individualizzati per ciascuna persona interessata, insieme al coinvolgimento attivo di famiglie, Istituzioni, strutture di accoglienza fino agli operatori sociali che dovranno essere sempre ben formati ed in grado di assolvere i compiti che verranno loro assegnati. Dal punto di vista logistico, dove non sia possibile un rientro in famiglia, pensiamo a piccole strutture di accoglienza, regionalizzate, dove ospitare i dimessi (ribadendo sia l’individualità che la dinamicità dei progetti). Altra scelta che riteniamo irrinunciabile è quella che il Servizio sanitario Nazionale, mantenga il coordinamento e la supervisione costante dei programmi attuativi, attraverso le sue articolazioni funzionali. Da più parti è stato rilevato come la mancanza di nuclei operativi per il superamento nei singoli Ospedali Giudiziari costituisca elemento di ulteriore confusione e quindi di peggioramento degli standard assistenziali ed alberghieri amplificando, di contro, la deresponsabilizzazione di ciascuno ed impedendo, nei fatti, la presa in carico e la conseguente messa in opera di programmi di inclusione personalizzati. Pertanto proponiamo la creazione di Uffici ed Equipes di dismissione (task force) – a tempo – per ciascuna struttura e in tutti i DSM, quali reali strumenti operativi e di collegamento tra le realtà interne e quelle esterne.

Gaetano Interlandi 

Direttore del Modulo Dipartimento di Salute Mentale Caltagirone-Palagonia, ASP3 Catania

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Cover Amedit n. 14 - Marzo 2013. "Nativity" by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 14 – Marzo 2013

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