È bastato il remix da parte di un giovane dj tedesco, di un brano del 2008, a far balzare Asaf Avidan in testa alle classifiche dei video più cliccati della rete. One Day/Reckoning Song è senz’altro la canzone più trasmessa dalle radio dall’inizio del nuovo anno, ammiccante quanto basta, divertente e struggente allo stesso tempo, accompagnata da un ottimo video che ricorda una sorta di Jules e Jim del terzo millennio.
Different Pulses, il nuovo album del trentatreenne cantante israeliano, e il primo da solista dopo l’esperienza di gruppo con The Mojos, mostra tutte le potenzialità di un talento innovativo e poliedrico, una vera sorpresa in un momento di stanca creativa generalizzata.
Ma torniamo alle origini e cerchiamo di ripercorrere le tappe che hanno reso Asaf Avidan un fenomeno di fama ormai planetaria.
Dopo un tour acustico in Israele nel 2006, decide di fondare i Mojos con i quali inciderà tre dischi che avranno un grande successo in patria: The Reckoning (2008), Poor Boy/ Lucky Man (2009) e Through The Gale (2010).
Il genere che fa da filo conduttore in questo periodo strizza l’occhio a un rock classico, di stampo occidentale, con qualche influenza folk e blues. Il livello musicale dei brani è buono, a tratti raffinato e impreziosito da arrangiamenti particolarmente azzeccati. Per chi volesse farsi un’idea basti ascoltare Small Change Girl o Your Anchor. Il gruppo riempie gli stadi di Tel Aviv e delle principali città israeliane, compresa Gerusalemme “così noiosa” come lo stesso Avidan la definisce sostenendo di essersi trasferito a Tel Aviv per respirare un’aria più vivace e stimolante.
Quel che rende particolare questo nuovo talento è senza dubbio la voce, il vero strumento innovativo che colpisce al primo ascolto.
Un timbro androgino, penetrante, ora lacerante ora leggiadro, stridulo e aggraziato che si arrampica con estrema naturalezza sulla parte più alta di un pentagramma sghembo sul quale Avidan costruisce melodie originali che conquistano e costringono a una considerazione particolare.
Different Pulses, l’album che lo sta legittimando a livello internazionale, è un giusto mix di famigliare ed esotico, di vicino e allo stesso tempo estraneo; Atmosfere folk, pop rock, trip hop sapientemente amalgamate per offrire un prodotto che non passa inosservato e fa ben sperare per il futuro di quello che al momento è un ottimo artigiano sicuro del proprio mestiere, a tratti geniale, in grado di sintetizzare il suo estro in undici brani da ascoltare con attenzione. Il disco si apre con la title track Different Pulses, un pezzo con tutte le carte in regola per lasciare il giusto segno. Una ritmica sicura e delicata accompagnata da chitarra, tastiere e pianoforte che raggiunge l’apice grazie a un crescendo emotivo struggente e contagioso, ottimo biglietto da visita per un album senza cedimenti. Continuando l’ascolto sorgono inevitabili i paragoni con grandi musicisti contemporanei: Leonard Cohen, Jeff Buckley, Janis Joplin e Antony Hegarty, ma alla fine un modello vero e proprio a cui assimilare Asaf Avidan non esiste. Un’aria di nuovo pervade l’intero lavoro sia nelle parti più melodiche, come la struggente ballata Conspiratory vision Of Gomorra, sia nei momenti più orchestrati di A Gun & A Choice, come nella più ritmata Cyclamen. Per quanto riguarda la parte lirica citiamo quanto l’autore stesso sintetizza con preclara intuizione: “beviamo dal pozzo culturale della nostra storia, ma la nostra musica è universale, non meno significativa di qualcuna in Dubai o New York o Tel Aviv. Scrivo sulle relazioni tra persone, sull’amore, la morte e oltre, su come sia strano e breve il nostro soggiorno su questo mondo. Per capire questo non si ha bisogno di nessun passaporto particolare”.
Grande determinazione, intensità e passionalità sono i primi vagiti con cui Avidan si presenta al mondo. Il resto, e probabilmente sarà di notevole spessore, lo scopriremo seguendo le prossime mosse, magari vedendolo dal vivo in Italia. Perché il ragazzo dopo la standing ovation sanremese ha già due date in programma: il 23 aprile a Milano e il 16 luglio a Roma. Una prova da non perdere.

“Nativity” by Iano
Mauro Carosio
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 14 – Marzo 2013
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