di Rosalda Punturo
Sangue di drago, curcuma, aloe, gutta, pietra d’agata: non ci troviamo nel laboratorium di un alchimista medievale, bensì nel XXI secolo, all’interno di un moderno laboratorio di restauro di materiali lignei.
Qualche anno fa, visitando a Barcellona il Museo di Frederic Marés, uno scultore che decise di donare le sue collezioni alla città, ricordo che rimasi estasiata dall’osservare le innumerevoli statue che il collezionista sottrasse all’inevitabile processo di degrado cui erano destinate in quanto abbandonate negli scantinati delle chiese, ormai cibo per tarli, realizzando così un museo unico nel suo genere. Dalla Spagna all’Italia, le sculture in legno rivelano un universo a sé, il cui patrimonio artistico non è ancora ben conosciuto e sufficientemente apprezzato. Da profani ci si pone diverse domande, ad esempio: come si effettua il restauro di una statua in legno di quattro-cinque secoli fa? Si adottano tecniche moderne? Oppure si preferiscono gli stessi prodotti usati nell’artigianato antico? E nel momento in cui si ha la possibilità di restaurare un’opera unica, come si procede? Ho deciso pertanto di seguire e di partecipare alle fasi di restauro dei manufatti lignei presso il laboratorio del Sig. Giuseppe Gemmellaro, sito a Nicolosi (Ct). Il laboratorio si connota come un ponte tra le tecnologie antiche e quelle più moderne.
Il momento in cui arriva la statua è letteralmente un evento: la si osserva, fotografa, disegna. Si descrive dettagliatamente, dando (se non si hanno dati certi) anche indicazioni sull’epoca di realizzazione. Già in questa fase, l’antico si mescola al moderno: i legni diventano “essenze”, non più semplici costituenti, ma anima, cuore e natura dell’opera stessa. Tiglio e abete vengono elevati al rango di dimensione aristotelica. Inoltre, a differenza delle cugine realizzate con i materiali lapidei, ciò che colpisce delle statue in legno sono le policromie, che ne costituiscono parte integrante. Nel momento in cui si valuta lo stato di conservazione del manufatto, se cioè vi sono lesioni o scrostature del legno o evidenze di attacchi da parte di insetti xilofagi, il restauratore esperiente valuta anche l’incidenza di eventuali restauri e/o rifacimenti precedenti, in modo da predisporre al meglio le varie fasi dell’intervento di restauro che vanno programmate accuratamente con la supervisione della Sovrintendenza dei Beni Culturali. Durante la fase di diagnosi, ci si può avvalere anche delle più moderne tecniche non distruttive; nel mio caso, ho collaborato proponendo al restauratore di effettuare su una statua le indagini mediante ultrasuoni, che rendono il legno “trasparente” permettendo così di mettere in evidenza eventuali crepe e microfratture non visibili esternamente. Una fase importante e delicata riguarda la pulitura dei residui dei fumi dei ceri votivi e l’asportazione di precedenti interventi di ridipintura. Successivamente si procede con il restauro vero e proprio: l’uso di materiali naturali, in conformità con l’epoca di realizzazione del manufatto, riesce magicamente a proiettare lontano nel passato, dove l’odore emanato della colla di coniglio (utilizzata perché molto elastica) mentre scalda nella pentola si mescola con quello della caseina. Tuttavia, spiega Gemmellaro, non si può prescindere da prodotti più moderni, come resine e/o sostanze antitarlo o materiali innovativi per la pulitura e necessari per il consolidamento strutturale; spesso questi sono forniti dalle case farmaceutiche, eredi degli antichi alchimisti: la simbiosi di tecniche odierne ed antiche, utilizzate anche diversi secoli fa, crea l’armonia strutturale ed estetica. Spesso gli interventi di pulitura rivelano dettagli inaspettati e ci raccontano curiosità non solo della statua, ma anche delle persone che nel passato si sono occupate del manufatto, svelando ad esempio nudità pudicamente coperte successivamente alla realizzazione dell’opera, in rispondenza con i tempi andati. Da semplice osservatrice mi sono domandata se gli interventi posteriori alla realizzazione della statua debbano essere preservati oppure no; successivamente ho riflettuto sul fatto che sovente si tratta di interventi “maldestri” , che non rispettano il gusto dell’artista. In ultimo, si procede con la ricostruzione delle parti mancanti e con la reintegrazione della finitura policroma originaria. Come si può intuire, la procedura di restauro è complessa e deve rispettare dei protocolli ben precisi, in conformità con le indicazioni delle Sovrintendenze che mirano ad un restauro conservativo.
Un’altra domanda che mi sono posta riguarda il momento della cristianità in cui sono nate le statue sacre: esiste una data storica ufficiale? Infatti inizialmente il cristianesimo, coerentemente con la tradizione giudaica da cui proveniva, non prevedeva il culto delle immagini. Successivamente i cristiani sentirono l’esigenza di decorare le chiese e le immagini assunsero pian piano un ruolo centrale nella vita liturgica; durante il Concilio II di Nicea, nel 787, se ne autorizzò il culto: “Definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. (…) L’onore reso all’immagine passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto.” Questo ci porta alla considerazione che quando si restaura una statua sacra, l’aspetto emotivo legato alla devozione assume una connotazione particolare. Racconta Gemmellaro che tra restauratore e utente, in questo caso l’intera assemblea religiosa, s’instaura un rapporto tale per cui i fideles letteralmente affidano la loro protetta, l’oggetto di devozione, alla persona che la riporterà all’antico splendore. Infatti la statua, una volta restituita alla comunità, sarà soggetta all’occhio scrutatore dei devoti, che individueranno prontamente eventuali difformità rispetto alle sembianze e alle finiture precedenti l’intervento di restauro: un neo fuori posto, un rossore delle gote troppo acceso, possono scatenare il dissenso dei devoti. Al restauratore spetta l’arduo compito di fare da trait d’union tra la Sovrintendenza, le cui disposizioni mirano a ripristinare l’aspetto originario dell’opera, ed il popolo, memore delle sembianze più recenti. In alcuni casi può capitare che la comunità, secondo un accordo non scritto che si tramanda di generazione in generazione e in cui la religiosità sfuma nella superstizione, abbia stabilito che la statua non debba abbandonare il paese (o addirittura la chiesa) in cui si trova. Al restauratore allora, non resta che recarsi in situ: la chiesa diviene laboratorio, la clausura si estende all’oggetto di culto, svelato soltanto in occasione della festa patronale. Proprio allora, quando la statua viene portata fuori in processione, da uno sguardo fugace dipende il destino di intere famiglie: se il volto del Santo o della Santa sembra sorridere, l’annata sarà propizia, altrimenti si prospettano tempi di magra. Dal sapiente uso dell’albume, usato nelle tempere per realizzare l’incarnato del volto, si stabilirà in un istante il futuro e l’esito del raccolto. Ecco allora che l’intervento di restauro si trasfigura in qualcosa di molto più grande, speranza e futuro di un’intera comunità.
Rosalda Punturo

“Nativity” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 14 – Marzo 2013
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Trovo molto interessante questo articolo, sono un appassionato di arte sacra, in particolare di sculture in legno e mi diletto nell’intaglio…
ho iniziato a scolpire con un set di Demi-Art che ho acquistato in rete
http://www.demi-art.com/it/prod-222-11690-set_%22inizia_a_scolpire%22_medio.asp
e ora è diventato il mio passatempo preferito.