Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 14 – Marzo 2013
Con Cani randagi (edizioni Rai Eri) lo scrittore bresciano Roberto Paterlini si è aggiudicato il Premio La Giara 2012; la commissione nazionale del premio letterario – presieduta da Ginevra Bompiani, Pier Luigi Celli, Antonio Debenedetti, Gian Arturo Ferrari, Dacia Maraini, Mario Orfeo e Franco Scaglia – lo ha scelto dopo una lunga selezione tra migliaia di altri romanzi pervenuti da ogni regione d’Italia. L’esordio di Paterlini nella narrativa risale però al 2007, anno di pubblicazione del suo primo romanzo Il ventiquattrenne più vecchio del mondo (edito da Libreria Croce), e prim’ancora con la sceneggiatura 23 anni (che gli fa vincere il Sonar Script Festival 2006). Cani randagi è in primo luogo una riflessione sull’identità randagia di quell’amore ancora oggi connotato come diverso, un amore costretto al randagismo dalle pressioni sociali, dall’ignoranza diffusa, epoca dopo epoca, e da un principio di inadeguatezza intrinseca (difficile da scrollarsi di dosso) derivante dall’assenza di modelli, di esempi, di punti di riferimento alla luce del sole. Il romanzo si articola in tre diverse fasi storiche, abbracciando un arco temporale di circa ottant’anni: l’Italia fascista degli anni Trenta, quella degli anni Ottanta (tormentata dallo spettro dell’Aids) e quella di questi anni più recenti. Il nastro di una vecchia audiocassetta riporta al presente una voce del passato, la voce di un’identità randagia (quella dell’amore che non osa pronunciare il suo nome perché non sa che nome attribuirsi), un’identità che cerca disperatamente di sopravvivere pur nell’innocente inconsapevolezza di se stessa. La voce registrata sul nastro appartiene a Luigi de Lorenzi, vittima in gioventù del confino di polizia sull’isola di San Domino delle Tremiti perché omosessuale. La testimonianza, il racconto sofferto e puntuale di quell’esperienza, arriva intatta molti anni dopo a Giacomo, anch’egli omosessuale, in un vero e proprio passaggio del testimone. <<Forse la mia razza avrà modo di evolversi grazie a questa reclusione in cattività. Forse stare tra di noi ci permetterà di capirci e scegliere la nostra definizione. E le parole per descriverla, se ne sentiremo il bisogno. Ma spero che nessuno lo vorrà fare. (…) In realtà, pensandoci bene, è proprio così: quest’isola non esiste. Non è possibile che esista. Non è possibile che mentre la Germania ha invaso la Polonia, come mi ha raccontato Giuseppe, e mentre l’Italia sta pensando di dichiarare guerra all’Inghilterra e alla Francia, noi siamo qui a non fare nulla se non sperare che la smetta di piovere. Non è possibile che mentre in qualche parte del mondo qualcuno è stato felice, si è laureato, o sposato, o è nato… io stessi raccontando il mito del Vello d’Oro a un ragazzo più giovane di me che è il mio carceriere.>> Negli anni Ottanta si affaccia prepotentemente un nuovo nemico, l’Hiv, come se non ce ne fossero già abbastanza, terzo incomodo nella storia d’amore tra Francesco e Matteo. L’ultimo salto temporale ci conduce a Giacomo, prigioniero in un altro confino: quello dell’ossessione di un amore controverso e impossibile.
Ogni personaggio ha la sua isola, il suo amore, la sua naturalezza e la sua inadeguatezza, la sua felicità e la sua tristezza, la sua prigionia e la sua libertà. “Cani Randagi è un libro coraggioso. Un libro sulla libertà d’amore.” sono parole di Dacia Maraini (membro in giuria del Premio La Giara) che non trascura di porre l’accento anche sull’efficace impronta civile che caratterizza il romanzo, così necessaria a fronte del triste vuoto legislativo che ristagna ormai da troppo tempo nel Paese. Ma al di là della tematica omosessuale Cani randagi è soprattutto un romanzo, un’opera di letteratura che va assimilata in quanto tale senza il sottotitolo di un’etichetta o di un genere. Quel che più emerge è infatti la scrittura, un linguaggio autentico e partecipe, calato a picco nel contesto narrato. Lo si capisce subito, fin dalle prime pagine, che lo scrittore prevale sul narratore, che le parole rispondono a un vocabolario interiore consolidato, urgente, ispirato e senza cedimenti.
Tutti i personaggi del romanzo sembrano chiamati a condividere una dimensione comune, nonostante si siano avvicendate ben tre generazioni. Ora come allora: non è cambiato nulla? Cosa impedisce alle identità randagie di divenire identità stanziali?
In realtà è cambiato molto. Il fascismo impediva a un omosessuale di esistere persino come individuo, figuriamoci all’interno di una coppia. Negli anni ’80 l’aids, con i connotati di contagio e colpa che conteneva aveva fatto un po’ lo stesso. Oggi gli omosessuali chiedono di sposarsi… e in paesi più civili del nostro si sposano. Dire che nulla è cambiato sarebbe scorretto. Lo stesso Giacomo, dalla sua realtà privilegiata, usa l’espressione “cani randagi” per riferirsi a un certo tipo di persone, e non necessariamente omosessuali…
Dagli anni del confino a quelli delle battaglie per i diritti civili. In che termini è possibile parlare di un’evoluzione dell’arruso da proto-gay a gay contemporaneo?
Anche in questo caso l’evoluzione è in corso. Nell’Italia fascista degli anni ’30, così maschilista e machista, il problema dell’omosessualità non esisteva. Era considerato non-dignitoso e amorale e che nell’atto sessuale un uomo interpretasse il ruolo di una donna… All’omosessuale attivo non accadeva niente, non era considerato omosessuale ed era pienamente giustificato. Non esistevano nemmeno le parole, la nomenclatura per descrivere un fenomeno che non era capito. Successivamente, non dimentichiamo che fino al 1991 l’omosessualità è stata listata tra le malattie mentali. Sono passati solo vent’anni da allora, eppure in così poco tempo gli omosessuali hanno saputo scoprire e reclamare la dignità del loro amore, tanto che oggi chiedono il medesimo riconoscimento giuridico delle coppie etero. È presumibile, oltre che auspicabile, che tra pochi anni il processo si sarà concluso, libri come il mio verranno guardati come cimeli di un tempo che fu e certe posizioni suoneranno incredibili e assurde. In realtà, già la seconda parte del mio romanzo va in quella direzione: Giacomo vive un amore tormentato, ma non pensa nemmeno per un secondo che sia più complicato perché lui è gay.
Nella cultura omofoba di certa destra catto-fascista l’arruso è ancora un mostrum da spedire al confino?
Purtroppo, non solo in quella di destra. Il confino di oggi è il silenzio delle istituzioni, è il rifiuto a legiferare, è il costante “ci sono questioni più importanti”… È l’“accontentatevi”. Negare la realtà, qualsiasi realtà, sminuirla, non rispondere, tacere sono forme moderne di confino.
Nel tuo romanzo fotografi tre diversi contesti storici del Novecento, in un arco di circa ottant’anni. In ciascuno di questi frangenti è possibile riscontrare una sorta di sottesa drammaticità, quasi si trattasse di una condizione imprescindibile dall’identità omosessuale. È così?
No, è solo una condizione imprescindibile della mia identità (ride). A parte le battute, il tenore del libro è stato dettato dalla vicenda ambientata negli anni ’30. Se ci pensi, le vicende sono progressivamente meno drammatiche. Luigi de Lorenzi è una vittima a tutto tondo, gli è negata qualsiasi libertà. Matteo e Francesco negli anni ’80, per quanto segnati dall’aids, sono una coppia, si amano… E se è vero che Giacomo ai giorni nostri è tormentato, non lo è certo per la sua sessualità. D’altra parte, se nel suo caso avessi raccontato una storia completamente felice, o completamente normale, sarebbe potuto sembrare quasi reazionario; a dire: gli omosessuali oggi non hanno più alcun problema…
Pier Vittorio Tondelli ricorre spesso nelle pagine di Cani randagi. Quant’è stata determinante la sua lezione per la tua scrittura e per la tua formazione?
Tondelli ha rappresentato la libertà. Quando mi sono avvicinato ai suoi scritti, che erano così diversi da tutto ciò che avevo letto sino a quel momento, ho capito che nella scrittura sarei potuto essere totalmente libero. È una frase un po’ ritrita, ma Tondelli è quello scrittore che per primo mi ha fatto desiderare di diventare uno scrittore…
Qui in Italia c’è sempre stata una tendenza diffusa nel parlare di una “letteratura omosessuale” o di uno “scrittore omosessuale”. Hanno senso certi incasellamenti?
Effettivamente sentiamo la necessità di classificare tutto, e non solo in letteratura, anche nel cinema, o nella musica. E, appena possibile, di cercare l’etichetta più sensazionalistica. Il problema della “letteratura omosessuale” è che non è un genere codificato… Non viene insegnato a scuola. Quali sono gli elementi della “letteratura omosessuale”? Banalmente diventa “omosessuale” qualsiasi libro che abbia dei personaggi omosessuali, come se gli altri libri fossero “eterosessuali”. A livello di indicizzazione, può essere utile per i lettori che cercano storie con personaggi omosessuali sapere quali sono, ma non andrei oltre… La letteratura non ha sessualità.
Da Coccioli a Busi, passando per il già citato Tondelli, e poi Pasolini, Bellezza, Golinelli (restando nella letteratura italiana), c’è un’opera in particolare di uno di questi autori che ti sentiresti di avvicinare a Cani randagi?
Guardo a tutti i nomi che citi, e a molti altri, con grande ammirazione, ma non sta a me fare paragoni.
La domanda è d’obbligo: c’è qualche grado di parentela con Piergiorgio Paterlini autore del celebre Ragazzi che amano ragazzi?
No, nessuna parentela. È solo una curiosa omonimia.
Sul tuo blog hai pubblicato due nuovi racconti. Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai un nuovo romanzo in cantiere?
I miei progetti al momento sono in stand-by per la promozione di Cani Randagi. Sono andato e andrò un po’ in tutta Italia, da Trieste a Palermo. Nei ritagli di tempo sono giunto a buon punto del mio terzo romanzo.
Massimiliano Sardina
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