di Giancarlo Zaffaroni

Leggendo la sentenza 601/2013 della Corte di Cassazione si apprendono fatti che la stampa non ha chiaramente riportato, limitandosi a parlare delle opinioni e strumentalizzazioni che ne sono seguite. La sentenza è di sole nove pagine, facilmente accessibile in rete e, a parte il linguaggio involuto – se sono atti pubblici i giudici potrebbero fare uno sforzo di chiarezza stilistica –, riassume la situazione in modo sintetico e completo: la madre, ex tossicodipendente, ha formato una nuova coppia con un’educatrice della struttura che l’aveva accolta; il padre, di religione musulmana, ha sostanzialmente abbandonato il bambino alla madre ed aggredito la sua compagna davanti al bambino; un intrico di questioni delicate nei rapporti di queste quattro persone.
E’ dunque da qui, dal destino già molto complicato di un bambino, che bisogna partire per affrontare la questione delle adozioni a coppie omosessuali? In quale modo la sentenza è un passo verso nuovi diritti? Sono questi diritti della persona singola o della coppia? Che rapporto c’è fra adozione e riconoscimento sociale e giuridico di coppie dello stesso sesso?
La sentenza stigmatizza come pregiudizio l’idea della dannosità delle coppie omogenitoriali rispetto a crescita ed educazione dei figli. Dovrebbe essere ovvio ma vederlo scritto fa un certo effetto. I danni stanno infatti nei pregiudizi, nella violenza e nella discriminazione che queste famiglie e questi figli subiscono. Però questa sensata considerazione dei giudici nulla dice sull’accesso delle coppie omosessuali all’istituto dell’adozione, che non è affatto oggetto della sentenza.

In caso contrario, se ci fossero veri pericoli per i bambini nati in coppie omosessuali o, come in questo caso, figli di una delle partner, questi dovrebbero essere tolti al genitore naturale? Non si può decidere che caso per caso, nell’interesse del bambino, come per qualunque altra famiglia.
In Italia il diritto all’adozione è della famiglia, ossia la coppia eterosessuale unita in matrimonio. Dunque un single non può adottare un figlio, tantomeno se è metà di una coppia quale che sia. Spostare questo diritto dalla famiglia alla persona è un forte colpo alla prima, intesa come nucleo della società e come soggetto da tutelare al di sopra di ogni altro, visione sostenuta dalla chiesa e dai politici baciapile interessati, non dalla Costituzione. L’articolo 29 recita: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”; sarebbe specioso sostenere che i padri costituenti pensassero alla famiglia omosessuale, per loro “naturale” significava di certo una coppia uomo–donna. Ma “famiglia” è concetto pregiuridico, che evolve con la società, ed il diritto può/deve adattarsi alle mutate esigenze sociali e culturali, pena discriminazioni e inciviltà, come infatti accade. L’anacronismo della legislazione italiana a questo riguardo è ancora più evidente essendo noi parte di un’entità sovranazionale che indica una direzione evolutiva precisa.

Ma attribuire il diritto di adozione alla persona anziché alla coppia elude una soluzione più semplice, che è quella di ammettere le coppie omosessuali all’istituto del matrimonio: solo l’equiparazione delle famiglie formate da persone di sesso diverso e uguale permette un’estensione completa dei diritti ora riservati alle prime, non c’è altra via che non lasci residui discriminatori.
Le soluzioni tipo l’unione delle coppie di fatto riconosciuta giuridicamente o dà accesso a tutti i diritti delle altre coppie, e allora non si capisce perché non chiamarlo matrimonio (civile), oppure mantengono una disparità giustificata solo da arretratezza e pregiudizio ideologico. Non esistono infatti argomenti specifici sensati per mantenere la disuguaglianza, sempre più nazioni nel mondo emendano il loro diritto riconoscendo questa parità, è un processo forse ineludibile, e chi fa resistenza su questo punto è condannato alla sconfitta.
Da noi: perché questo tema è così poco trattato nella campagna elettorale? Perché si propongono soluzioni al ribasso e pasticciate senza il coraggio delle proprie opinioni, ma sempre per il tornaconto della propria bottega? La nostra società è pronta per questo passo fondamentale? Bisogna constatare con amarezza che il paese non è pronto per questa evoluzione di pensiero e di costumi. Sta alle organizzazioni e alle singole persone sostenere queste idee senza stancarsi o recedere, perché l’uguaglianza dei diritti è questione mai completamente risolta.
Giancarlo Zaffaroni
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