ROSALBA IN CARRIERA. Valentina Casarotto racconta Rosalba Carriera, prima pittrice d’Europa

di Massimiliano Sardina

valentina_casarotto_carriera1Il segreto nello sguardo non è propriamente una biografia su Rosalba Carriera, né tantomeno un’autobiografia rimaneggiata alla luce di nuove considerazioni critiche sull’artista e sulla persona; l’operazione letteraria di Valentina Casarotto elude lo schema tradizionale specialistico della ricostruzione documentale e abbraccia, coraggiosamente, quella del romanzo. La narrazione in prima persona, sottoforma di “diario” e di “memorie”, conferisce autenticità e attendibilità a episodi (incontri, dialoghi, pensieri…) potenzialmente accaduti, e che proprio in virtù di questo non appaiono meno reali di quelli storicamente accertati e verificabili. Poco importa. Conta la storia, la storia eccezionale di una donna in un mondo di uomini, la storia di una donna già “moderna” in pieno ancien régime, la storia di una ritrattista che sul fronte del talento creativo non aveva assolutamente nulla da invidiare a un Watteau o a un Fra’ Galgario. La fortuna critica di Rosalba Carriera – dopo una lunga fase ottocentesca che ha visto alternarsi sostenitori e detrattori – prende a consolidarsi più corposamente nel corso del Novecento, grazie soprattutto alla rivalutazione operata da Roberto Longhi. Il giudizio critico di quest’ultimo, infatti, contribuì non poco a diradare quella svaporatezza settecentesca che offuscava la sua opera e a suggerirne una lettura più attenta ben al di là della patina vezzosa della cipria e dei pizzi.

Da Venezia, dove Rosalba comincia a disegnare da autodidatta, alle grandi capitali europee il passo è tutt’altro che breve. Se il talento premia, premia ancor di più la capacità di sapersi relazionare e di farsi ben volere, in altre parole di sapersi promuovere, e in quest’arte Rosalba eccelleva. Ne emerge una personalità in punta di piedi, misurata, umile, prudente, squisitamente femminile, ma determinata a perseguire gli obiettivi della sua ambizione. Al destino inesorabile del maritar o monacar Rosalba contrappone una terza opzione, molto audace per quegli anni, sceglie cioè la strada solitaria e senza garanzie della realizzazione professionale, una strada che le avrebbe valso importanti onorificenze dall’Accademia romana di San Luca fino alla corte francese. In un dialogo immaginario con il celebre pittore Antoine Watteau è Rosalba stessa a sintetizzare efficacemente la sua posizione: <<(…) ogni tanto mi sento fuori posto (…) Il ruolo di una donna sola che eserciti un lavoro indipendente non è ancora riconosciuto nella nostra società. Per questo rosalba_carriera_amedit0preferisco starmene a Venezia, chiusa nel mio studio a dipingere ritratti, cercando di non dispiacere ai miei titolati committenti e a non urtare la suscettibilità dei colleghi pittori. La donna che pratica una professione, oltre che contare sulla fortuna, deve essere morigerata ed evitare ogni stravaganza di cui si compiacciono le mode. Per una donna che voglia essere indipendente la prudenza è tutto.>> Prudente fino al punto di specializzarsi nella miniatura e nella tecnica del pastello, giudicate forse meno “maschili” della tradizionale pittura a olio o ad affresco, e forse proprio per questo più giustificabili. Alla sua arte Rosalba sacrifica tutto, l’amore in primo luogo, e non senza rimpianti. La narrazione si sofferma più volte su questo aspetto, restituendoci il ritratto di una donna sempre divisa tra l’aspirazione amorosa e quella artistica, quasi che per lei, misteriosamente, vigesse un principio rigido e ineludibile di inconiugabilità: o l’arte o l’amore. È su questo punto che Valentina Casarotto innesta la delicata liaison (magari verificatasi realmente, chi può dirlo?) tra Rosalba e Watteau, un amore dipinto coi toni tenui del pastello, sempre abbozzato ma mai compiuto. Il dialogo prosegue con le parole di Watteau: <<Scorgo in voi la mia stessa ambizione, e mi sembra che la vostra natura sia molto simile alla mia. Ammiro la vostra sensibilità, la vostra arte e la ferrea determinazione con cui vi siete affermata nella professione. È più facile per un uomo realizzare i propri intenti, non vi sono per lui ostacoli di ordine sociale, e può ricorrere a ogni mezzo e a ogni stratagemma. Ma voi… Se avete raggiunto la fama che tutti vi riconoscono e che pienamente meritate, significa che siete molto più forte di un uomo. In voi apprezzo i pregi del talento e quelli della femminilità, e nelle vostre opere vi sento forza e levità, sentimento e ragione, raffinata tecnica e grande ispirazione.>> Che i due ebbero modo di conoscersi e di interagire è molto probabile, meno certo invece è che Watteau abbia effettivamente posato in carne e ossa per “la sua innamorata”.

rosalba_carriera_amedit2Per eseguire il celebre ritratto (conservato nel Museo Civico di Treviso) infatti, Rosalba si sarebbe potuta servire di un disegno di Boucher desunto da un autoritratto perduto di Watteau o da un’incisione molto similare a firma di Tardieu. È utile inoltre segnalare che questo ritratto eseguito da Rosalba era noto fino al 1969 come Ritratto di gentiluomo; dobbiamo infatti a J. Cailleux l’identificazione, dopo attente comparazioni fisiognomiche, con i tratti somatici di Watteau intorno al 1721, e quindi nei suoi ultimi anni di vita. Precisazioni, queste, che nulla tolgono e nulla aggiungono alla “Rosalba Carriera” di Valentina Casarotto. Lo ribadiamo: certi sconfinamenti sono voluti, anzi sono proprio questi i punti di maggior fascino del romanzo.

La Carriera di Rosalba decolla all’indomani dell’apprendistato presso la bottega veneziana di Giuseppe Diamantini, dove vi entrò appena quattordicenne nel 1689. Di qui, fino alla data della sua morte avvenuta nel 1757, è tutto un susseguirsi di traguardi professionali e riconoscimenti accademici che la resero ricercatissima dalle più prestigiose committenze europee. (Una sorte analoga toccò solo – molti anni dopo la morte di Rosalba, a cavallo tra Settecento e Ottocento –  alla pittrice Elisabeth Vigée-Le Brun (1757-1842), una delle più grandi e prolifiche ritrattiste del suo tempo, autrice del celebre ritratto della regina Maria Antonietta). Da una parte le miniature su fondelli a soggetto galante per i collezionisti inglesi, dall’altra i soggetti agresti e bucolici per la facoltosa clientela tedesca, ma è soprattutto attraverso la nutrita galleria di ritratti a pastello che Rosalba conquista fama internazionale; una tecnica nuova, fresca, “alla moda”, in perfetta aderenza alle atmosfere fuggevoli e transitorie respirate dall’aristocrazia del Settecento pre-rivoluzionario. Con la leziosità di una proto-fotoreporter Rosalba fissa le verità incipriate di quei volti e ne svela al contempo i segreti dello sguardo. Il pastello ben si presta a imprigionare questa mutevolezza, a cogliere quell’istante di verità per farlo emergere dietro la patina stucchevole del ritratto referenziale. Nella nutrita galleria di Madame Rosalba troviamo uomini come: Anton Maria Zanetti (amico intimo della pittrice), Sebastiano e Marco Ricci, Federico IV di Danimarca, Augusto III Re di Polonia, il cardinale Melchiorre di Polignac, Horace Walpole, e conti, visconti, duchi, abati, prelati, monsignori… fino al Re Luigi XIV e al Re bambino Luigi XV; nonché nobildonne come: Lucrezia Mocenigo, Isabella Correr Pisani, Elisabetta Algarotti Dandolo, le contesse Orzelska e Potocka, le principesse Grimaldi e Trivulzio, Maria Giuseppa di Sassonia, l’Imperatrice Amalia d’Austria, passando per un’infinità di dame in vesti arcadiche e mitologiche… fino alla bellissima Caterina Sagredo Barbarigo, scelta come immagine di copertina per il romanzo edito da Angelo Colla.

rosalba_carriera_amedit4I volti, immortalati per lo più di tre quarti, guardano da un’epoca lontana, e di quell’epoca – ingiustamente per troppo tempo giudicata solo frivola e superficiale – di quell’epoca ci restituiscono ben di più del trucco e parrucco. Una buona resa realistica, come ogni buon ritrattista sa, si gioca nello sguardo, in quel punto-luce che riassume in sé interiore ed esteriore, quel che appare e quel che è. Forte della sua collaudata capacità introspettiva Rosalba non si limita alla mera restituzione dei tratti somatici ma tenta di individuare di volta in volta il “segreto” del soggetto in posa, una piega del carattere, una sfumatura della personalità, le luci e le ombre del vissuto. Si veda a tal riguardo lo sguardo obnubilato nel Ritratto di Joseph Spence o l’espressione vispa e ambigua del Procuratore veneziano conservato alla Gemaldegalerie di Dresda.

Nel suo insieme, al di là della vicenda specifica di Rosalba Carriera, il romanzo dispiega un affresco particolareggiato della società nel primo ‘700 avvalendosi di una ricostruzione storica puntuale e comparata. Nel quadro delle convenzioni e delle relazioni risalta la figura e la posizione della donna e, di riflesso, i limiti imposti in quel preciso contesto storico-sociale alla sua emancipazione. Rosalba Carriera rappresentò senza dubbio un’eccezione, come in precedenza i casi isolati più noti di Artemisia Gentileschi (1593-1653) e Sofonisba Anguissola (1535-1625). Nel romanzo, per sottolineare questa eccezionalità tutta al femminile, l’autrice si sofferma sul rapporto di Rosalba con la sua allieva prediletta Felicita Sartori (sua erede ideale) e con la scrittrice Luisa Bergalli, e menziona Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (la prima donna laureata all’università di Padova nel 1678), la rimatrice Vittoria Colonna, la poetessa Gaspara Stampa, Irene da Spilimbergo (allieva di Tiziano), Marieta (figlia di Tintoretto), oltre alle già citate Artemisia e Sofonisba. Per giungere a una vera e propria par condicio tra uomini e donne (nelle arti figurative come in letteratura) si dovranno attendere la bellezza di quasi due secoli dalla morte di Rosalba; è solo infatti a partire dalla metà del Novecento che, nella cultura occidentale, la donna arriva ad affacciarsi con prepotenza (nelle arti come nei mestieri) e a pareggiare definitivamente i conti con gli illustri colleghi.

Per un catalogo ragionato delle opere di Rosalba Carriera consigliamo il volume curato da Bernardina Sani: Rosalba Carriera, Umberto Allemandi & C, Torino, 2007.

Massimiliano Sardina


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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 13 – Dicembre 2012

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