di Marco Genti (con la collaborazione di Giancarlo Zaffaroni)
Il nuovo lavoro di Franco Battiato e Manlio Sgalambro sorprende per unità e freschezza, viste le età degli autori, da citare alla pari poiché i testi sono tutti una collaborazione fra i due. Ci troviamo davanti una ricapitolazione piena di rimandi al pensiero, anche mistico, alla cultura letteraria e musicale, con qualche punta di critica sociale. Battiato dice che Sgalambro interviene in libertà col suo pensiero ateo nei testi e che si ritrova più vicino a lui che a certi cattolici: non si fatica a crederlo. Un intrico umano articolato sostiene i rimandi di senso da un pezzo all’altro, costruendo una trama che invita a moltiplicare gli ascolti. Manca quasi del tutto l’ironia, ma c’è leggerezza di tocco e come un sorriso di fondo, l’equilibrio solido di chi non ha più niente da dimostrare.
Lo strano modo di cantare di Battiato è sempre più essenziale, al servizio del testo; anche la musica, senza sacrifici, è al suo servizio, tanto che La polvere del branco inizia con una conversazione; forse anche in questo senso, tra le citazioni, Gluck è un segnale. Viene usato un quartetto d’archi in modo che ricorda David Byrne o la musica classica (inizio di Testamento), insieme all’elettronica ritmica tipica di Battiato, pianoforte e chitarra (inizio di Un irresistibile richiamo), una batteria spesso solida, l’organo Hammond (Quand’ero giovane), gli archi che gonfiano la melodia, un coro che ci fa sentire la preghiera del tramonto. Le forme dei brani sono articolate e libere, alternano frasi, temi e ritornelli, parti strumentali, atmosfere immediatamente cangianti; in sintesi, l’unità nella varietà è uno stile inconfondibile. C’è maestria nel mettere in musica un testo spesso irregolare e nel trovare sempre gli accenti giusti: davvero la parola cantata e la musica che la sostiene sono naturalmente libere e in accordo; questo è frutto di un grande lavoro di preparazione, che scompare senza residui in una naturalezza acquisita, che quasi non si nota.
Se guardiamo ai testi troviamo molte citazioni, un sincretismo spirituale, un intersecarsi di alto e basso, oriente ed occidente, mondi, dimensioni e tempi, la manifestazione di un lavoro d’introspezione autentico, sincero, unico e per questo mai completamente condivisibile. Rimanere a distanza nonostante il piacere e l’emozione dell’ascolto è un altro elemento caratterizzante, come un ritegno di solitudine, superato dalla dolcezza musicale, ad esempio in Aurora, su testo del poeta arabo-siciliano Ibn Hamdis adattato da Nabil Salameh dei Radiodervish. Qui troviamo, scelta all’esterno, la massima espressione del linguaggio poetico; si può rimproverare in altri punti l’uso di un linguaggio concettoso e troppo diretto, come nell’ultima strofa di questa canzone aggiunta da Sgalambro, oppure in Eri con me.
In Quand’ero giovane c’è un’autobiografia diretta del Battiato che, a Milano, suonava nelle balere per operai e cameriere: questi ricordi autentici emozionano, parlano di un’Italia povera, autentica e ricca di possibilità. La canzone di maggiore critica sociale è Il Serpente, metafora del denaro della finanza; non c’è la malinconia drammatica di Povera patria o la rabbia esibita e l’attualità di Inneres auge, ma una descrizione tragica dell’occidente, un destino segnato, oggettivo, un racconto antico e pietoso, con uno spiraglio di speranza: esiste un raggio di luce che illumina un ciliegio in fiore, l’esperienza del bianco, da qualche parte, farà nascere un uomo nuovo. Anche La polvere del branco descrive un’umanità prigioniera di case e cose, l’illusione della libertà, prigionieri su navi inesistenti, milioni di ombre che camminano nel nulla; a contrasto, l’evocazione di un’oscurità misteriosa e immensa, nella quale nessun uomo potrà mai penetrare.
Apriti sesamo, il brano del titolo, chiude il disco con citazioni musicali della Sherazade di Rimskij-Korsakov, che qui racconta la storia di Alì Babà; il mattino interromperà il racconto sulla soglia della caverna delle ricchezze e non sapremo se lui entrerà. La formula magica che permetta un passaggio ad altre dimensioni spirituali o del tempo, della memoria, dell’essere, verso una ricchezza ulteriore, evoca la morte, uno dei temi più presenti nei testi. Troviamo infatti diversi concetti che girano attorno al grande mistero, nei confronti del quale può costruirsi un senso del vivere: il ritorno dei minerali all’acqua (Un irresistibile richiamo), ciò che deve accadere accadrà perché è già accaduto (Eri con me), è breve il gioire, gli anni hann’ da finire (Passacaglia), agli uomini fu detto tu camminerai in eterno (Il serpente); i lasciti agli eredi e agli amici, la reincarnazione nei vangeli, non moriamo mai perché nasciamo mai (Testamento). Battiato e Sgalambro sembrano pensare la morte come passaggio e non come termine, o come trasformazione dell’essere spirituale in altre forme, ma un’interpretazione unica e definita degrada il loro pensiero.
Caliti junku ha molteplici legami, oltre ad essere uno dei centri emotivi del disco; la flessibilità del giunco che si china per far passare la piena del proverbio siciliano è consapevolezza, ma troppa sopportazione lascia le cose immutate; per salvarsi, ci si rifugia nell’essenza vuota dell’auto-coscienza interiore. L’inizio del brano è musica di Gluck, il canto di Orfeo che ha perso Euridice, che non sa dove andare. Non si può fare a meno d’identificarsi nel giunco che si china: tutti noi siamo come Orfeo, dispersi nel mondo insano, alla ricerca di un equilibrio interiore e sociale, comune, giusto, alla ricerca di un amore perduto, arricchiti dalla musica.
Davvero quando i dieci brani passano in un lampo, piacevoli e intelligenti, si desidera subito riascoltarli. Chissà che ascolti ed ascolti delle canzoni non facciano penetrare dentro di noi, per osmosi emozionale, concetti misteriosi e profondi: con la musica questo certo accade.
Ricordiamo gli eccellenti musicisti che hanno collaborato al disco: Gavin Harrison (batteria) – Faso (basso) – Simon Tong (chitarre) – Carlo Guaitoli (pianoforte) – Carlo Boccadoro (organo Hammond) – Nuovo Quartetto Italiano (archi) – Pino “Pinaxa” Pischetola (ritmiche e programmazione) – Gianluca Ruggeri (percussioni) – Chiara Vergati (voce). Cover design e fotografie: Polystudio / Francesco Messina, con Francesca Zucchi e Andrea Morandini.
Marco Genti (con la collaborazione di Giancarlo Zaffaroni)
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 13 – Dicembre 2012
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