“I miei occhi sono coralli che assorbono i tuoi sogni
La mia pelle è una superficie da spingere fino al limite
Il mio cuore è la testimonianza di scene pericolose
Ma quando mi deciderò a dare un taglio al mondo?”
Antony, Cut the world
Antony Hegarty, voce e anima del progetto musicale Antony and The Johnson, è forse al momento il protagonista indiscusso del cosiddetto arty-pop contemporaneo. L’album appena uscito Cut the world raccoglie i frutti maturi di una semina straordinaria e li offre attraverso la dimensione all’artista più congeniale, quella del live. La critica più colta e intransigente è ai suoi piedi ormai da un abbondante quindicennio, e a ragion veduta perché Antony è davvero un’eccezione nel panorama musicale contemporaneo. Laurie Anderson ha dichiarato che per lei “scoprire Antony è stato come ascoltare Elvis la prima volta”. E di estimatori il signor Hegarty ne può vantare davvero tanti, da Lou Reed fino al nostro Franco Battiato. Antony nasce in Inghilterra, a Chichester (West Sussex), nel 1971. Dieci anni dopo la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, a San José (California). Qui viene iscritto a una scuola di indirizzo cattolico, ma di buono c’è che presto comincia a cantare in un coro. Le passioni musicali di Antony adolescente si stringono intorno alle figure di Boy George (con il quale poi duetterà nella splendida You are my sister), e di Marc Almond. Il percorso di studi si snoda in ambito artistico e teatrale tra San José e Santa Cruz e culminerà con una laurea in Teatro Sperimentale.
Nelle prime esperienze performative si ispira alla mitica drag Divine e a personaggi come Joey Arias; nei primi anni ’90 comincia a esibirsi come drag queen e parallelamente coltiva i primi esperimenti musicali con il gruppo Blacklips. La ricerca di una propria identità di genere si forgia sui modelli estetici androgini di Leigh Bovery e Klaus Nomi, oltre che del già citato Boy George. Il vero e proprio salto nel mondo autorale musicale si concretizza più compiutamente a partire dal 1995 con la prima formazione della band-piccola orchestra “Antony and the Johnson”; il nome richiama quello del famoso travestito Marsha P. Johnson, fondatore a New York della prima casa d’accoglienza per travestiti, che morì tragicamente nel fiume Hudson; a Marsha P. Johnson è dedicata la canzone River of Sorrow contenuta nell’album I am a bird now. Gli inizi non sono stati facili, e solo dopo una gavetta durissima arriva il primo demo Blue Angel nel 1996. Il primo album (omonimo) vede la luce solo due anni dopo, edito dalla Durtro; ma è con l’EP I fell in love with a dead boy del 2001, e più ancora con il secondo album I am a bird now (edito nel 2005 da Secretly Canadian) che Antony conquista finalmente l’attenzione di un pubblico più vasto. Sulla copertina un po’ alla Pierre et Gilles di I am a bird now (fotografia di Josef Astor e costume di Marc Borders) Antony compare nelle sembianze diafane di una divinità transgender, più alieno che umano, un budda pagano androgino evanescente, malinconico e assente, una trasposizione perfetta della sua indole romantica e sofferta. Tra tutte le tracce del disco, oltre alle splendide Hitler in my heart, Twilight e la già citata Blue Angel, brilla la struggente Cripple and the Starfish, un vero e proprio manifesto della poetica di Antony.
Su tutto emerge la voce, a tratti sessualmente incollocabile, né troppo femminile né troppo maschile, ma viscerale, interna, implosa eppure così estesa, una voce che si fa tramite di un lamento tutto interiore, profondo, una voce strappata dall’anima, respiro dopo respiro. Antony canta la sua condizione di persona nel mondo, dà voce alla complessità e alla problematicità del suo vissuto, alla ricerca della sua identità di genere e a quell’equilibrio tra i generi che è poi la chiave di volta della sua ragione artistica e musicale. Nei lavori successivi The Crying Light (2009) e Swanlights (2010), con altri brani di forte impatto come Another world e Thank you for your love, Antony attenua progressivamente la drammaticità interpretativa a favore di un’esecuzione più intimista. Nei testi la vena neoromantica scorre in un preciso e ben individuato impegno cantautorale, in una missione dell’arte che non può esimersi da un impegno civile, da un dibattito sempre aperto sui grandi temi (l’intolleranza delle religioni, la fragilità dell’ambiente naturale, il neofemminismo…); dal testo di Cut the world: “…For so long I’ve obeyed that feminine decree / I’ve always contained your desire to hurt me / but when will I turn and cut the world? / my eyes are coral, absorbing your dreams / my heart is a record of dangerous scenes / my skin is a surface to push to extremes / but when will I turn and cut the world? ( …Per così tanto tempo ho obbedito a quel decreto femminile / Ho sempre contenuto il tuo desiderio affinché non mi ferisse / Ma quando mi deciderò a dare un taglio al mondo? I miei occhi sono coralli che assorbono i tuoi sogni / La mia pelle è una superficie da spingere fino al limite / Il mio cuore è la testimonianza di scene pericolose / Ma quando mi deciderò a dare un taglio al mondo?”) Cut the world, l’unico brano inedito del live, è accompagnato da un videoclip diretto da Nabil Elderkin e interpretato tra gli altri da Willem Dafoe e Marina Abramovic, un video leggibile in chiave neofemminista estrema (ritrae donne che sgozzano uomini) ma che riflette invero una tematica molto più ampia sulle difficoltà di appartenere a un genere, nonché sull’interrelazione tra amore e morte, tra felicità e disperazione.
Le tracce live sono state registrate a Copenhagen con la Danish National Chamber Orchestra, con arrangiamenti dello stesso Antony, del fido Nico Muhly (collaboratore storico dell’artista), e di Rob Moose e Maxim Moston. Cut the world ci offre un Antony in stato di grazia.
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