“…Avvampò e per fermarla le strinse la mano con forza; strizzando gli occhi, immaginando che attraverso quella presa ferrea potesse trasmetterle i suoi pensieri, i suoi incubi, il suo dolore. E il corpo, i muscoli gli si irrigidirono, facendolo quasi ciondolare per la tensione. Spalancò le palpebre e, allentando la presa, la guardò e si intenerì: lei piangeva. Piangeva per lui. E nessuno, mai, lo aveva fatto. Era incredulo, annientato.”
A sette anni di distanza da Le rondini di Tunisi Alessandro Golinelli torna con un nuovo romanzo, una storia d’amore sbocciata nell’inferno della Germania hitleriana. I protagonisti sono Il’ja, un soldato russo diciassettenne imprigionato nel campo di concentramento di Mauthausen, e la giovane liceale Anna, libera in quanto tedesca. Un incontro fuggevole, uno sguardo rubato, la complicità di una rosa d’inverno e la bella Anna si innamora perdutamente. Come tutti i suoi compagni di sventura anche Il’ja è costretto a lavorare nelle fattorie limitrofe al lager, ed è proprio grazie a questi continui spostamenti che Anna, adottando tutta una serie di sotterfugi, riesce a raggiungerlo e ad interagire, seppure brevemente, con lui. Parlano due lingue diverse, ma poco importa, perché tanto non possono parlare, quindi tutto è di volta in volta affidato agli sguardi, ai piccoli contatti, alle sensazioni. <<…La riconobbe immediatamente e la sorpresa non lasciò spazio ad altre emozioni. Si appoggiò e si resse alla zappa per contemplarla: era anche più bella di come la ricordava. Arrossì intimidito ma riuscì a sorriderle contento. (…) Non poté non fantasticare su quali circostanze eccezionali li avessero portati a rivedersi.>> Alla giovane innocenza del loro amore, spontaneo come solo sa esserlo un fiore di bosco, fa da sfondo la realtà adulta e disumana della guerra, non una guerra qualsiasi ma la guerra per eccellenza, quella che più di ogni altra ha rivelato il lato oscuro dell’animo umano.
Il romanzo si ispira a un preciso episodio storico: la tragica fuga di seicento prigionieri dell’Armata Rossa sovietica dal campo di sterminio di Mauthausen (2 febbraio 1945), finito poi in una carneficina dalla quale si salvarono solo pochissime persone. Da uno scenario estremo e violento oltre ogni immaginazione Golinelli riesce a far emergere una storia semplice, l’amore puro e coraggioso di due adolescenti, un amore che non anela ad altro se non a se stesso, e di riflesso alla pace e alla salvezza. Per Il’ja, sempre più provato e debilitato dalle fatiche della prigionia, Anna viene a coincidere con la vita stessa, ed è unicamente a questo sogno che si aggrappa per sopravvivere. <<…Ma all’improvviso ebbe un brivido: stava sognando troppo. Non doveva, aveva l’obbligo di rimanere attento, all’erta, prudente.>> È proprio questo il messaggio di fondo del romanzo, l’umanità che resiste nella disumanità, quella speranza, quell’aspirazione alla felicità che è sempre l’ultima a morire e che lotta strenuamente contro l’orrore del male. Il mostro nazista che ostacola e rende impossibile questo amore, questo semplice amore, non è descritto da Golinelli come una malattia mentale di contagio collettivo ma come un’ideologia ben radicata e consapevole.
L’amore semplicemente è un romanzo molto diverso dalle precedenti prove letterarie di Golinelli (Basta che paghino, Kurt sta facendo la farfalla, Come ombre, Angeli, La felicità della Signora…), diverso sia per la tematica affrontata che per il metro narrativo adottato; per volontà dell’autore, infatti, L’amore semplicemente incorpora parallelamente al testo narrativo una forte struttura linguistica cinematografica. In questi ultimi cinque anni, infatti, Golinelli si è avvicinato al cinema cimentandosi in numerose regie e documentari sia in Italia che all’estero (Ottavio Mario Mai, 2002, Lo schermo velato, 2001, Fi Jerda – Al campetto, 2005, fino al più recente Angels on Death Row – The Ebrahim Hamidi’s Case del 2011). Le esperienze maturate in seno alla ricerca cinematografica confluiscono prepotentemente nella sua scrittura generando immagini forti ed efficaci, descrizioni dettagliate e incisive che hanno il pregio di irrobustire il tessuto emozionale del testo narrativo. Così anche i dialoghi tra i personaggi e i passaggi temporali, scanditi secondo un ritmo più “visivo” che strettamente linguistico-letterario. Lo ribadiamo, è un testo molto diverso da quelli cui Golinelli ci aveva abituato, al punto che quasi non lo si direbbe un romanzo di Golinelli. Un’operazione, peraltro, ben riuscita. Ora attendiamo il film.
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