Sul caso Sallusti e sul reato di diffamazione a mezzo stampa
di Giuseppe Campisi
La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva,
ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva.
Albert Camus, Resistenza, ribellione e morte, 1961
Alessandro Sallusti, oggi direttore de Il Giornale ed ex direttore di Libero, condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione a mezzo stampa. La notizia, di quelle forti, scuote il mondo del giornalismo e non solo.
In breve, il fatto: una tredicenne incinta e la madre si rivolgono al magistrato tutelare per interrompere la gravidanza; ad autorizzare l’aborto, secondo procedura, è Giuseppe Cocilovo. La versione di Libero però, di cui appunto Sallusti all’epoca era direttore, non sembra coincidere con la realtà: secondo l’articolo incriminato, a nome dello pseudonimo Dreyfus, il magistrato, che – da abortista quale sarebbe, secondo l’autore – andrebbe punito addirittura con la pena di morte, avrebbe costretto la ragazzina al gesto di cui sopra. Ed è proprio a seguito dell’azione giudiziaria del giudice Cocilovo, che si è visto negare qualunque tipo di rettifica da parte del quotidiano, che è arrivata la condanna al Sallusti, pur non essendo stato egli stesso in prima persona l’autore del pezzo, ma avendo avuto, ovviamente, la piena responsabilità di ciò che è stato pubblicato nel suo oramai ex giornale.
Questa la vicenda, ed ecco quindi l’indignazione massima, da più fronti. Giornalisti che si scagliano contro quello che reputano un attentato alla libertà di espressione da un lato, politici che si prodigano ai fini di cambiare la legge in questione dall’altro… Com’è mai possibile che, una volta pubblicata una notizia falsa, infamante, e per giunta ad opera di un giornalista radiato dall’albo – Dreyfus si è esposto in un plateale mea culpa – che altri non è che Renato Farina, deputato Pdl, si debba addirittura rispondere alla legge? “Il carcere è una pena troppo severa!” – tuonano diversi esponenti politici da più fronti. Sarà anche vero, ma, signori miei, non mi pare che questa sia una norma dell’ultim’ora, e, anzi, mi pare che molti di questi paladini della libera manifestazione del pensiero non siano proprio dei novizi della politica, e non è certo da oggi che hanno la possibilità di mettervi mano.
Eppure prima che questo caso riguardasse Sallusti, amico degli amici, nessuno si era posto il problema: forse che la tua libertà di espressione, quando gestisci un giornaletto fazioso e che si permette il lusso di scrivere notizie campate per aria, merita un occhio di riguardo? Per non parlare della tempestività della manovra che dovrebbe modificare la legge: basta ingrassarla con l’olio del favoritismo e la macchina burocratica si mette in moto che è una meraviglia, alla faccia di chi aspetta i tagli ai costi della politica ed alle pensioni d’oro. Senza considerare, inoltre, che, nell’improbabile caso di assoluzione del Sallusti, chiunque avrebbe potuto scrivere su qualunque testata giornalistica qualunque cosa su chiunque senza dover dare conto a nessuno.
Ora, in ultima analisi, al di là del fatto che probabilmente il colpevole non passerà mai neanche un’ora in carcere, e che probabilmente questa sarebbe davvero una pena troppo severa per il reato in questione, è importante avere ben chiaro il concetto della libertà di espressione. Sallusti ed i suoi non sono stati condannati per le proprie idee, ma perchè il contenuto dell’articolo in questione era palesemente diffamatorio e dunque contro la legge, e muovere un’intera campagna mediatica basandosi su una presunta libertà di espressione negata per giustificare un comportamento non solo immorale, ma anche illegale, è davvero meschino.
Ma, a proposito, Sallusti ai tempi del cosiddetto Editto Bulgaro, ai tempi di Satyricon, Il Fatto e Sciuscià, dov’era?
Copyright 2012 © Amedit – Tutti i diritti riservati