TURISMO: un punto di vista antropologico

di Mauro Carosio

“Siamo appena tornati dai Caraibi! È stato bellissimo! Era come l’anno scorso alle Maldive!” Oggi non è difficile imbattersi in conversazioni del genere. La gente viaggia sempre di più, crisi permettendo. Milioni di persone si trascinano tra aeroporti e stazioni per soddisfare un desiderio sempre più bulimico di esotismo e divertimento. Il problema è che spesso il turista si muove e non si accorge di andare sempre nello stesso posto. Agenzie specializzate in pacchetti “all-inclusive” confezionano, in modo sempre più conveniente, vacanze in modo da far sentire il cliente “come a casa” in qualunque angolo del pianeta. Quindi karaoke e spaghetti garantiti, e un brivido di esotismo dato da qualche escursione, fuori villaggio, per appagare il desiderio – o il dovere – di avventura: il turista non può tornare a casa senza essere in grado di raccontare di aver visto, fotografato (elemento essenziale) o provato qualcosa di straordinario. Eppure, nonostante il “viaggiatore” (definizione sempre più labile) sia spesso inconsapevole, non si può sottovalutare il fatto che il turismo, diventato ormai un oggetto di studio da parte di sociologi, esperti in comunicazione, antropologi, è il primo vero fenomeno in cui il contatto culturale diventa una questione di massa. Il turismo sagoma luoghi, confini culturali e sociali e le popolazioni che ne vengono investite, i cosiddetti “locali”, non possono essere considerati soggetti passivi. Che si tratti di indiani d’America o gondolieri veneziani, la relazione che si instaura è comunque reciproca: gli uni hanno bisogno degli altri. Non solo i turisti, anche quelli rinchiusi in resort dorati, agiscono sui locali, ma anche questi ultimi trovano nei visitatori un’occasione per ridefinire la propria identità. È interessante osservare, nei luoghi più battuti dal turismo “esotico”, il proliferare di riti e arte ad uso e consumo del turista, dove il concetto di autenticità o meno perde completamente di significato. In Mali i plurivisitati e sovraesposti Dogon danzano nelle piazze per i turisti, si addobbano con i loro costumi tradizionali e quando lo fanno nei loro cortili, al riparo da sguardi estranei, indossano jeans e scarpe occidentali. Quale delle due danze è più autentica? Entrambe hanno un senso e il concetto di autenticità, spasmodicamente ricercata dal turista come dallo studioso, subisce in questo caso una deriva di difficile contestualizzazione. Capire quanto, e se, il turismo sia buono o dannoso  tout court è realmente difficile e la valutazione andrebbe eseguita analizzando nello specifico i casi più disparati. Un concetto che oggi assume una grande rilevanza è quello di turismo sostenibile, vale a dire quel turismo che non mette a repentaglio la vita dei locali e la loro cultura, ma anzi tende a salvaguardarla. Un concetto etico, una forma di riconoscimento dell’altro che rimane in primo luogo una “persona” e non un oggetto da fotografare e mostrare agli amici una volta tornati a casa. Buone vacanze!

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