SE I TUOI OCCHI UN GIORNO. Il primo romanzo di Bartolomeo Smaldone

di Carlo Camboni

 

 “Se i tuoi occhi un giorno” il primo romanzo di Bartolomeo Smaldone è un “omaggio all’alterità, a tutto ciò che è deprecato solo perché non rientra in un sistema di convenzioni diffusamente accettate.” Sullo sfondo c’è il Sud con le sue processioni d’incappucciati e le apparenze sociali da mantenere,  il pizzo  e una tenera storia d’amore tra due ragazze, così intensa e realistica da rimanere impressa per molto tempo nella memoria di chi la leggerà.  In occasione dell’uscita del romanzo, quattro chiacchiere con l’autore.

A pochi giorni dall’attentato in cui Melissa, una tua conterranea, è morta davanti ad una scuola, ancora mi confortano le tue parole “Ho la morte nel cuore per tanto vile abominio della vita”.
Credi che i giovani siano abbastanza informati su cosa sia la mafia e la sua storia?

Quando, tra il maggio e il luglio del 1992, vennero trucidati Falcone e Borsellino, tutta la Nazione ebbe una forte scossa. Un dolore acerbo e acuto attraversò le coscienze degli italiani, e si impose il dovere di iniziare a parlare diffusamente di mafia nelle scuole, ai giovani, per favorire un pensiero critico di quello che, a tutti gli effetti, era ed è un sistema radicato non solo nel sud del nostro Paese, come banalmente e erroneamente si pensa, ma in tutta l’Italia. Da quel momento in poi, si è avuto modo di apprezzare un certo cambiamento, specie nei giovani, ai quali va ascritto il merito di essere scesi più volte, coraggiosamente, nelle piazze per manifestare il loro disprezzo verso tutte le mafie. Perché ad ogni livello della vita sociale esiste un tipo di mafia; perché è mafia tutto ciò che non consente lo sviluppo civile dell’uomo. È mafia l’assegnazione manipolata dei posti di lavoro, delle false pensioni di invalidità; il silenzio omertoso sulla pedofilia negli ambienti ecclesiastici; i buoni benzina in cambio dei voti; le discariche abusive a ridosso dei campi di grano.

La mafia e la violenza nel tuo romanzo fanno da sfondo alla storia emozionante delle due protagoniste. Paradossalmente, ho trovato le pagine che descrivono la scena della violenza sessuale, la profanazione di una creatura innocente, tra le più poetiche del libro.

Si tratta di una profanazione, è vero. Un attimo prima che quel pensiero si insinui nella mente di Carmine, egli non ha consapevolezza di ciò che accadrà di lì a breve. In quell’istante, è la componente animale che prevale sul raziocinio, e il dramma diventa inevitabile, inarrestabile. La vita di ogni uomo è sintesi di una continua ricerca di equilibrio tra forze opposte. In quell’equilibrio si consolida la virtù, ed è a quel risultato che ogni uomo dovrebbe ambire. C’è, tuttavia, molto più fascino e molta più poesia nel travaglio che dilania l’uomo diviso a metà tra bene e male, tra convenzione e dissennatezza, e che in maniera consapevole se ne va verso il baratro, pur sapendo di non saper volare.

Ho sempre sostenuto che un romanzo, un racconto o una poesia dovrebbero contenere un’invenzione, qualcosa che li renda unici. Ecco che tu inventi la “Città dei folli”, un posto in cui le anime folli e sensibili possano ritrovarsi, per riscatto o volontà, per iniziare una nuova vita. Come ti è venuto in mente?

La compassione è tra i sentimenti più pericolosi che possano esistere in assoluto. Essa è da intendersi  come atto di assoluzione e di benevolenza rivolto, prima di tutto, verso chi lo compie. La compassione non colma una distanza; la demarca in modo più evidente. Finché riuscirò a provare pietas verso qualcuno vorrà dire che io non starò da quella parte; che mi sarò salvato dalla tragedia. Non ho mai creduto fosse sufficiente chiudere i manicomi ed aprire strutture di accoglienza. Ho sempre ritenuto essenziale restituire una funzione sociale ai disadattati mentali; restituir loro una collocazione che gli era stata estorta. Renderli produttivi, vivi, aggregandoli in modo strutturale con la società civile. Da qui l’idea della “Città dei folli”: una nuova opportunità per tutte queste creature cui è stata sottratta l’anima.

Vivere in un paese di provincia una storia d’amore omosessuale, col contorno di maldicenze, invidie, confraternite e processioni. La tua storia è ambientata negli anni ‘60, eppure pare che poco sia cambiato…

È cambiato ben poco, è vero, e la cosa più sconvolgente è che proprio la mia generazione non ha saputo essere protagonista e garante di questo cambiamento. La prima domanda che ognuno di noi dovrebbe rivolgere a se stesso è: “Cosa farei se scoprissi di avere un figlio omosessuale?”. È tutta lì la verità. Le cose cambieranno davvero il giorno in cui impareremo ad amare gli altri più di quanto amiamo noi stessi. Solo quel giorno comprenderemo che l’amore è un sentimento, non una malattia.

“Tutta la vita è fatta di vuoti da colmare. Nascendo è come se venissimo immessi in un unico, imprecisato, e incontrollabile vuoto.” La scrittura colma il vuoto di Bartolomeo?

La scrittura mi ha permesso di risparmiare, sino ad oggi, un bel po’ di soldi per le sedute dallo psicoterapeuta. È incredibile quanto di noi si scopra nell’attimo in cui scriviamo; si va in profondità, si scava, si soffre, si muore, si resuscita. Ed ognuno di questi miracoli si rinnova ogni volta in maniera diversa. La nostra personalità si scompone in mille altre, tutte da analizzare, da sviscerare. E poi si ricompone nei versi, nelle parole. Alla fine leggi quello che hai scritto e fai fatica a credere di esserne stato tu l’artefice.

Questo libro racconta storie personali nelle quali si possono immedesimare in tanti.

Nel mio caso la scrittura è il risultato finale di un processo complesso fatto di osservazione, di esplorazione e di visione. La scrittura è arte visionaria indotta dall’osservazione di  tutto quello che ci sta intorno e dalla voglia che abbiamo di esplorare quei molteplici universi. Non è solo una questione personale, come in molti credono: è una celebrazione collettiva. Ecco perché in molti si riconoscono nei personaggi di un romanzo; perché in quel caso lo scrittore è uscito dal proprio “io” per entrare in quello degli altri.

Per quali ragioni, a tuo avviso, in un Paese di tanti scrittori e pochi lettori, un autore riesce a emergere?

Bella domanda. Anche se sarebbe più giusto chiedersi che cosa, in un Paese come quello che descrivi tu, fa emergere uno scrittore. Se riuscissimo a comprendere quelle dinamiche, anche la qualità delle letture migliorerebbe. Ma questa è davvero una storia molto complessa.

logo-amedit-gravatar-okCarlo Camboni

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