LA TERRA TREMA. Cronache di un’Italia ballerina

di Rosolino Cirrincione

A differenza di altri corpi celesti, la Terra non è un oggetto inanimato, un sasso rotondo, che ruota attorno alla sua stella. Il nostro è un pianeta dinamico, in continua evoluzione. Indipendentemente dalla vita che brulica sulla sua superficie, la Terra ha una vita propria, un’attività che ha origine nelle sue regioni più interne: gli eventi vulcanici e quelli sismici sono l’espressione di questo dinamismo, sono il suo respiro ed il battito del cuore. Se vogliamo comprendere la ragione per cui avvengono i terremoti, è necessario brevemente richiamare la struttura interna della Terra. La crosta è l’involucro più esterno del pianeta, rappresenta solo lo 0.4% della massa terrestre e ha uno spessore che varia mediamente dai 30 ai 50 km nelle regioni continentali, con massimi che possono raggiungere gli 80 km sotto le catene montuose, riducendosi fino a spessori di 5-15 km al di sotto degli oceani. La Moho è la superficie che marca il confine inferiore della crosta terrestre, al di sotto di questa ha inizio il mantello che costituisce, sia per massa sia per volume, l’involucro maggiore del pianeta. Il mantello si estende fino a 2885 km di profondità, dove la discontinuità di Gutenberg lo separa dal nucleo. Inizialmente il mantello veniva immaginato come involucro relativamente omogeneo rispetto all’eterogenea crosta; il progredire degli studi ha invece scoperto una notevole eterogeneità sia mineralogica sia chimica, eterogeneità che si esprime anche nel suo comportamento reologico. La porzione più superficiale del mantello, di spessore attorno agli 80 km, dove le onde sismiche mantengono una velocità di circa 7.9 km/sec, mostra un comportamento strettamente legato a quello della crosta. Da un punto di vista reologico, questa porzione di mantello assieme alla crosta costituisce la litosfera. Lo spessore complessivo della litosfera, comprensivo cioè della crosta più la regione superiore del mantello varia dai 100 ai 120 km. Al di sotto della litosfera, si estende una regione caratterizzata da basse velocità delle onde sismiche (Low-Velocity-Zone, LVZ) il cui spessore è piuttosto variabile: si estende da circa 120 km sotto i continenti, fino a una profondità compresa tra i 220 e i 300 km; sotto gli oceani, l’esiguo spessore della litosfera fa si che la LVZ inizi già a circa 50 km. Secondo alcuni studiosi, questa zona rappresenta la porzione superiore dell’astenosfera, l’involucro a comportamento plastico che complessivamente raggiunge la profondità di circa 650-700 km. Il quadro che ne deriva è quello di un guscio rigido, la litosfera, che poggia su un guscio plastico, l’astenosfera. È nel comportamento plastico dell’astenosfera che vanno ricercate le ragioni del dinamismo terrestre. In questa porzione della Terra, infatti, si realizzano i moti convettivi, movimenti circolari molto lenti che, come enormi rulli, trasportano il materiale caldo, ubicato nelle profondità della Terra, verso le regioni più superficiali del pianeta e, viceversa, il materiale freddo, verso le regioni più profonde. Seppur molto lenti e quasi del tutto impercettibili, questi movimenti si ripercuotono sulla litosfera, il guscio sovrastante a comportamento rigido. La litosfera è come il guscio di un uovo sodo, fratturato in tanti frammenti chiamati placche o zolle; immaginiamo la litosfera come un puzzle, dove le singole tessere, sono in movimento relativo tra di loro, un movimento indotto dai lenti moti convettivi che al di sotto di queste incessantemente operano. I terremoti non sono altro che l’espressione superficiale di questo dinamismo. Per definizione, il terremoto è una vibrazione naturale del suolo, indotta dalla rottura di masse rocciose ubicate nel sottosuolo. I movimenti delle placche producono, infatti, soprattutto lungo i margini di queste, un accumulo di energia; quando il limite di resistenza delle rocce è superato, la roccia si frattura, liberando in pochi istanti l’enorme quantità di energia in essa contenuta. È come quando pieghiamo, tra le mani, un bastoncino di legno, fino al punto da provocarne la rottura. Il punto nel quale si innesca la rottura della massa rocciosa, prende il nome di ipocentro, mentre la sua proiezione sulla superficie terrestre, prende il nome di epicentro.

L’energia così liberata si propaga dall’ipocentro verso le regioni circostanti per mezzo delle onde sismiche, fino a giungere in superficie dove vengono avvertite dalla popolazione. Il meccanismo con il quale l’energia elastica si propaga nelle regioni circostanti è essenzialmente di due tipi: la materia investita dal treno di onde sismiche può vibrare parallelamente o perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda. Nel primo caso parleremo di onde “P”, mentre nel secondo caso di onde “S”. Le onde P (dette anche onde “prime”) producono nella materia un susseguirsi di compressioni e dilatazioni e sono in grado di trasmettere più rapidamente l’energia elastica, per questa ragione viaggiano all’interno della compagine rocciosa con maggiore velocità; le onde S (o onde “seconde”) producono invece una distorsione della materia, la loro velocità è di poco inferiore rispetto a quella registrata per le onde P. Quando le onde sismiche intercettano una superficie di discontinuità, come ad esempio la superficie terrestre, generano un nuovo tipo di onde chiamate onde di “Love” o di superficie, queste sono del tutto analoghe alle onde che si osservano sulla superficie di uno stagno quando si è buttato un sasso. Pertanto al sismografo, cioè lo strumento che riceve e registra gli eventi sismici, le onde arriveranno con questa successione: innanzitutto le onde P (le più veloci), poi le onde S ed infine le onde di superficie. L’energia accumulata in una regione può essere rilasciata tutta insieme, oppure in momenti diversi. Nel primo caso si avrà un solo evento sismico di elevata magnitudo, nel secondo caso invece gli eventi sismici si susseguiranno in un intervallo temporale più o meno lungo, la cui lunghezza è funzione sia del tipo di roccia nel quale si è prodotta la frattura sia della configurazione geologica dell’area interessata. Dal momento che i moti delle placche sono continui, subito dopo il rilascio dell’energia sismica inizierà un nuovo processo di accumulo che nel tempo porterà o alla riattivazione della frattura generata in precedenza oppure alla produzione di una nuova. Questo tempo di accumulo è noto agli studiosi come “ritorno elastico” e varia da  regione a regione, condizionato anche in questo caso dall’assetto geologico e dalla tipologia di rocce coinvolte. Per questo motivo gli studiosi, al momento, non possono prevedere il luogo o la data di un evento sismico, ma solo fare previsioni sull’area e grosso modo sul periodo in cui con ogni probabilità si esplicherà un evento sismico. Ci sono regioni dove gli eventi sismici si ripetono nell’arco delle centinaia di anni, altre regioni dove invece l’accumulo di energia è più lento e quindi sono necessari tempi più lunghi per raggiungere e superare i limiti di resistenza delle rocce. Sono i dati statistici e le cronache che ci suggeriscono questi tempi.

L’Italia, per la sua particolare configurazione geologica è ubicata lungo il margine di due grosse placche: la placca africana a sud e la placca europea a nord. Le catene montuose che solcano per intero la nostra penisola rappresentano l’interazione tra queste due enormi zolle. Ci troviamo quindi sopra la cicatrice che milioni di anni fa ha segnato la collisione delle due suddette placche. Il movimento della placca africana non si è comunque esaurito, essa continua ad esercitare una pressione sulla placca europea e di conseguenza ad accumulare energia, energia che viene periodicamente rilasciata in più parti del nostro territorio, sotto forma di eventi sismici. Lo confermano i frequenti terremoti che hanno investito il nostro fragile territorio, dal Belice al Friuli, dall’Irpinia all’Abruzzo, fino al più recente dell’Emilia. Non possiamo arrestare o guidare il movimento delle placche, e di conseguenza non possiamo fermare i terremoti, siamo costretti a subirne gli effetti devastanti. Effetti che producono non solo perdite di vite umane, ma che si ripercuotono pesantemente anche nel tessuto economico e nel nostro unico ed impareggiabile patrimonio culturale. Non potendo certo prevedere un terremoto, possiamo solo operare nell’ambito della prevenzione. L’Italia è una terra antica dove la memoria si perde nei secoli; le nostre città sono cariche di storia, nei loro edifici e nello loro pietre è scritto il nostro passato e la nostra cultura, il loro crollo rappresenta la cancellazione di una parte della nostra memoria. È come se nel libro dove è scritta la nostra storia strappassimo, ogni tanto, qualche pagina. Non possiamo certo permettere che tutto ciò continui, è necessario intervenire con estrema urgenza. Prioritaria è l’attuazione di un piano per mettere in sicurezza tutti i centri storici delle città dove gli edifici costruiti centinaia di anni fa non rispondono certo ai moderni criteri antisismici e dove una parte della popolazione ancora abita. Quindi intervenire nei luoghi di interesse storico-archeologico che rappresentano il nostro passato, la nostra cultura e costituiscono una risorsa vitale per la nostra economia. Infine, non possiamo permetterci il lusso di realizzare fabbricati con scarsi requisiti antisimici nelle aree considerate a basso rischio sismico, i recenti fatti dell’Emilia ce ne hanno dato conferma. È questa una sfida che non possiamo permetterci di perdere, è un impegno che siamo obbligati a impugnare se vogliamo tramandare la memoria, ma è anche un dovere che abbiamo verso le generazioni future.

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