PALAGONIA: La Basilichetta paleocristiana San Giovanni

QUEL RUDERE SILENZIOSO

di Luca Bardaro

Nella Sicilia sud-orientale, in territorio di Palagonia, si trova un curioso monumento noto con il nome di Basilichetta San Giovanni. Il viaggiatore che vorrà visitarlo dovrà avventurarsi in questi luoghi fuori dai classici circuiti turistici, senza il supporto di una segnalazione nella cartografia ufficiale, né potendo confidare su una qualche indicazione stradale messa a cura della diligente Amministrazione Comunale. Se sarà fortunato, una volta raggiunto il cimitero cittadino, potrà contare sulle indicazioni fornite da qualche persona del posto. Proseguendo per circa 1,5 km, tra i rigogliosi giardini di aranci, giungerà alla fine in un angolo ameno e silenzioso, nei pressi del fiume Catalfaro. L’intraprendente viaggiatore avrà finalmente raggiunto la sua agognata meta. L’immagine che gli si presenta davanti, un po’ inaspettatamente, gli regala una visione non priva di suggestioni: ciò che colpirà soprattutto le sue corde sensibili, sarà l’atmosfera quasi surreale che si respira tutt’intorno, in un contesto ambientalistico di tutto rispetto, tanto da far passare quasi in secondo piano l’oggetto vero e proprio della sua ricerca: un modesto rudere, in verità, che fa capolino su un pianoro incolto incorniciato dai circostanti giardini. Sembra più un’installazione, una scultura in pietra tufacea che intende circoscrivere un luogo sacrale, un’immagine che potrebbe contemplare con l’occhio compiaciuto e malinconico dell’illustratore rovinista di fine ‘700 – inizi ‘800. Eppure, ha dinanzi a sé un monumento che a dispetto della sua apparente modestia, potrebbe rappresentare un raro esempio di architettura paleocristiana in Sicilia. Forse. A causa della scarsità di documentazioni, infatti, non è dato sapere con certezza quale fosse la reale natura dell’edificio che ha di fronte, né tanto meno quale fosse il suo aspetto originario. Le osservazioni fatte dagli studiosi che se ne sono interessati (in tutto circa una diecina di segnalazioni), rendono controversa la sua destinazione d’uso. Il primo studioso ad occuparsene è stato Guido Libertini, che ne presentò una relazione al I Congresso di Archeologia Cristiana tenutosi a Roma nel 1952. Così egli scrive: “La basilichetta di Palagonia, per la semplicità delle forme della sua costruzione pur considerando che si tratta di una modesta chiesetta rurale, in cui la rozzezza della costruzione può dare l’impressione di maggiore arcaicità, in ogni modo io non scenderei nella datazione molto oltre il V secolo. (…) La chiesetta in questione non solo aveva una sola navata ma era uno dei rari esempi di basiliche aperte lateralmente, cioè che invece di muri perimetrali presentavano degli archi i quali potevano eventualmente essere chiusi da porte in legno, o latri, o da tendaggi, e probabilmente erano circondate da una area recinta (cortile o giardino)”. L’identificazione del Libertini sarebbe suffragata da alcuni elementi che ne caratterizzano l’impianto architettonico: il tempietto presenta pianta rettangolare con all’estremità orientale un’abside a calotta. Ai lati si diparte una serie di archi dei quali ce ne sono pervenuti interi soltanto due per lato, sebbene da ciò che rimane dei raccordi architettonici risulta evidente che erano più numerosi. Detti archi poggiano su dei capitelli trapezoidali con singolari sagomature del tipo “a mantice”, a loro volta poggiati su dei tozzi pilastri di poco meno due metri. Tali strutture sono sopraelevate rispetto all’area interna della navata da due scalini. Il tutto misura circa 7 metri in lunghezza per 4,15 in larghezza e 3,20 in altezza. Allo stato attuale dei resti risulta difficile stabilire quali potessero essere le dimensioni e l’aspetto originario della basilichetta. Dagli scavi da lui effettuati, il Libertini ipotizza un’estensione della navata di circa 10,7 metri. La peculiarità della costruzione consisterebbe nel trattarsi, per l’appunto, di un edificio aperto ai lati, ossia, senza muri che la isolassero dall’esterno. Questa scelta potrebbe essere stata adottata, viste le modeste dimensioni della navata, al fine di consentire la partecipazione al culto da parte di più fedeli, anche stando all’esterno del perimetro. Tale peculiarità architettonica la porrebbe in relazione con altri esempi di basilichette paleocristiane presenti in Siria (vedi A. Grabar in L’Arte paleocristiana 200-395, Bur Arte, Rizzoli, Milano 1980). Tuttavia, non tutti gli studiosi concordano con questa tesi. Il prof. Aldo Messina (su Archivio Storico Messinese, n. 77, 1998), ritiene ad esempio che si possa trattare di una chiesa giovannita dei primi anni del XIII secolo (ipotizzando che tale sito fosse stato un possedimento dei Cavalieri di San Giovanni).  Il Messina, ritiene inoltre potesse trattarsi di un edificio a tre navate di tre campate su pilastri, concluso da una abside semicircolare sporgente all’esterno. Pur non potendo stabilire quanto erano larghe  le navate laterali e se finivano anch’esse con una absidiola, egli ritiene così di poterne individuare l’archetipo nell’architettura crociata della chiesa di S. Maria Latina, l’abbazia benedettina insediata   accanto  al  Santo  Sepolcro,   da   cui  traevano origine  gli  stessi  Giovanniti. Un’acquaforte del libraio londinese R. Bowyer, datata 1809, mostra un edificio che ricorda molto da vicino il monumento in questione (stesse ipotetiche dimensioni, identici elementi architettonici, quali colonne, capitelli e archi), e sembra fornirci anche la sua vera funzione. In calce all’illustrazione infatti, troviamo la didascalia:Ancient Bath Near the Fountains of the Palici. / Published by R. Bowyer 80Pall Mall 1809. Se dunque l’illustrazione in questione si riferisse realmente alla cosiddetta Basilichetta San Giovanni di Palagonia, verrebbero a cadere entrambe le tesi che la vorrebbero come luogo di culto religioso e come esempio di basilica aperta ai lati: infatti la figura mostra un edificio ancora intatto, dotato di prospetto e di mura perimetrali, che l’autore indica come “Antichi bagni presso la Fonte dei Palici”. Ci troveremmo quindi di fronte ai resti di un luogo termale? Stabilire delle certezze sarà oggi alquanto arduo; ulteriori studi dovrebbero avere ad oggetto anche l’intera area su cui ricade il monumento, compito, questo, pressoché impossibile: i devastanti lavori di bonifica che hanno interessato l’area circostante tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del secolo scorso, hanno definitivamente trasformato la fisionomia del luogo, e con ciò asportato ogni eventuale reperto archeologico utile a condurre un’accurata ricerca. Molti indizi ci informano che nel sito avesse sede un insediamento umano, una comunità che probabilmente aveva il suo epicentro proprio attorno all’edificio, e che si estendeva a valle, lungo gli argini del fiume Catalfaro. È qui che ancora oggi si possono notare delle escavazioni su una parete rocciosa vistosamente erosa dalle intemperie (quattro cameroni e una scala lapidea nei cui pressi è stata rinvenuta ceramica sigillata romana, manufatti in vetro e ceramica del periodo medievale), ed è qui che intorno agli anni ’40 vennero rinvenute copiose quantità di ossa umane da una necropoli con tombe a fossa. I labili indizi qua e là captati dall’occhio esperto, intorno al monumentale rudere, ci suggeriscono la presenza di insediamenti umani riferibili a varie epoche (alcune ricognizioni in superficie hanno restituito materiale litico, consistente in selci lavorate, che fanno ipotizzare la presenza di un insediamento preistorico; nonché materiale ceramico bizantino, tardomedievale e di epoche relativamente recenti). Nulla più di tanto ci è dato sapere di questa piccola comunità rurale che prima dell’avvento degli arabi, abitò questo luogo cinto tutt’intorno dalle colline, quasi in un volontario isolamento per nascondersi agli occhi indiscreti degli avventori. Di questa pagina di storia irreparabilmente cancellata alla memoria, ci rimangono in definitiva soltanto quelle enigmatiche vestigia, note come Basilichetta San Giovanni, unica testimonianza di un passato lontano, avvolto dalle fitte nebbie dell’oblio. Dopo secoli di assoluto abbandono, l’Amministrazione di Palagonia sembrava aver compreso il valore di quelle antiche pietre. Nel 2005, grazie a dei finanziamenti elargiti dalla Comunità Europea era stato creato una sorta di parco archeologico, recintando l’intero pianoro su cui campeggia il monumento, e dotandolo di illuminazione, panchine, piante ornamentali e servizi igienici. Già dopo qualche mese dalla consegna dei lavori lo scenario che si presentava al visitatore era quello di un assoluto degrado e abbandono: illuminazione distrutta, panchine asportate, piante completamente secche, servizi igienici devastati dai vandali. Sterpaglie ovunque. Oggi, 2011, se possibile, la situazione è ancora più desolante. Magari un’altra diligente Amministrazione provvederà a inoltrare una nuova richiesta di finanziamenti per riqualificare il sito. Magari li otterrà. Torneranno ad accendersi le luci, torneranno a fiorire le magnolie… si spera per sempre. Intanto lasciamo l’intraprendente viaggiatore sulla via del ritorno dalla sua visita a San Giovanni. Chissà cosa porterà con sé di questa insolita avventura. Forse un profondo senso di quiete e di sopraffazione, l’immagine di una natura parzialmente addomesticata, che nonostante tutto riesce ancora a infondere nello spirito sensazioni intraducibili, e sia pure quel melanconico senso di decadimento e d’oblio cui è condannata la storia.

Luca Bardaro

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