I Blondie, capitanati dall’ex coniglietta di playboy, Debbie Harry, sono uno dei risultati migliori della florida ed esuberante scena newyorkese nata nella metà degli anni ’70. La loro caratteristica vincente è sempre stata quella di fondere una sorta di irruenza punk o post punk con la dance e il power pop, un modello che si è rivelato decisamente influente per molte band dei giorni nostri.
Ricercati, incisivi e sempre moderni, i Blondie sono anzitutto impersonati dall’immagine della biondissima e carismatica Debbie Harry, una delle più forti icone femminili degli ultimi quarant’anni, voce e anima del gruppo. Dopo un non felice debutto, costituito da un paio di dischi trascurabili e trascurati, i Blondie raggiungono il successo planetario nel 1978 con l’album Plastic Letters e con l’indimenticabile singolo Heart of glass. Da allora in poi la loro carriera è in continua ascesa e i lavori successivi, Eat to the beat e Autoamerican, li proiettano direttamente nell’olimpo del panorama musicale mondiale, brani come Dreaming, Atomic e Rapture sono ancora oggi remixati e riprodotti da numerosi artisti contemporanei. L’apice viene comunque raggiunto nel 1980 quando il tormentone Call me, inserito nella colonna sonora del film American gigolò con Richard Gere, raggiunge la vetta delle classifiche di tutto l’occidente e oggi è inserito da Rolling Stones tra le cinquecento canzoni più belle di tutti i tempi. Gli anni ’80 vedono i Blondie in discesa, inizia un ritiro dalle scene da parte della Harry, ad eccezione di alcune apparizioni in film americani di serie B, e alcune infelici uscite da solista da parte dei vari membri del gruppo, front woman compresa. Il destino dei Blondie sembrava segnato quando a sorpresa nel 1999 e nel 2003 sfornano due album degni dei tempi migliori: No exit e The course of Blondie. La ormai storica band sembra aver messo indietro le lancette del tempo per rispolverare i vecchi fasti dei loro lavori più celebri. Stessa cosa accade quest’anno con l’album Panic for girls: undici tracce a-là Blondie che risplendono di luce propria e un paio di singoli di tutto rispetto: Mother e What I heard. Certo lo smalto del gruppo non è quello dei gloriosi anni ’70 e la voce di Debbie Harry non si può dire che non risenta del tempo trascorso. In ogni caso il Panic for girls rimane un disco di ottimo livello, attuale, tirato e ben confezionato che si ascolta tutto d’un fiato e non lascia quella sgradevole sensazione di nostalgia per i tempi andati.
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