di Giuseppe Campisi
Da sempre, fin dalle epoche più remote, l’Uomo si è spostato per migliorare le proprie condizioni di vita. Lo vediamo fin dalle prime migrazioni umane, all’alba dei tempi, e lo vediamo oggi, con il considerevole flusso di migranti che da zone con pesanti difficoltà sociali ed economiche volgono lo sguardo per una vita migliore ai cosiddetti paesi sviluppati. Queste migrazioni, inutile negarlo, sono andate a costituire un problema, per via dell’enorme massa di persone in movimento e, dunque, per tutta una serie di bisogni che debbono necessariamente essere soddisfatti.L’ultima ondata di spostamenti, figlia della crisi politica di alcune regioni nordafricane, ha sicuramente avuto un forte impatto sull’Italia ed in particolare sulla Sicilia: migliaia di persone vi hanno visto la possibilità di una vita migliore, o comunque un ponte, un collegamento con l’Europa. Ponendo alla base l’assoluto rispetto per i migranti e la dignità umana come punto fermo in qualunque tipo di scelte e di politiche, in quale modo dovrebbe essere fronteggiata questa emergenza? Il governo (senza consultare gli enti della zona) ha deciso di sfruttare il Residence degli Aranci, in territorio di Mineo (CT), servito fino a pochi mesi prima ad ospitare i militari americani (e le famiglie) in servizio presso la base di Sigonella, e trasformarlo in quello che è stato definito dai vertici della politica nazionale come un “Villaggio della solidarietà”, per accogliere richiedenti asilo, rifugiati politici. L’idea, sulla carta, è lodevole; fin dal primo momento, però, s’è accesa un’animata contestazione nei confronti di questa scelta, contestazione basata su delle motivazioni certo da non sottovalutare. Innanzitutto concentrare migliaia di persone e cercare di immetterle in un tessuto sociale che già ha tra i suoi problemi un elevato tasso di disoccupazione è una mossa che a lungo termine potrebbe rivelarsi devastante. Se è vero che le sovvenzioni dell’UE aiutano ad ammortizzare i costi per il sostentamento dei rifugiati, è anche vero che gli aiuti economici non potranno durare per sempre. Di conseguenza, se consideriamo che il comune di Mineo conta circa 5.300 abitanti e che il governo ha intenzione di stipare nel Villaggio circa 7.000 persone (quando dovrebbero starcene svariate migliaia meno) ci rendiamo conto subito di come il problema riguardante il lavoro sia da tenere ben in considerazione. La figura del clandestino, dell’immigrato, non si deve assolutamente accostare a quella del criminale. La criminalità nasce però dove c’è disagio dal punto di vista economico, e le premesse non sono delle più rosee. Se già la Sicilia è la regione col più alto tasso di disoccupazione d’Italia (13,9%) in futuro la situazione non potrà che peggiorare, in tal senso. Altro problema che si avverte è quello riguardante la ghettizzazione del Villaggio e la scarsa possibilità di vera integrazione, unite al fallimento di quello che doveva essere un esempio di accoglienza per l’intera Europa, ma che sembra essere più un luogo di detenzione per gli immigrati. Non è raro vedere molti dei nuovi residenti che, scappati scavalcando la recinzione (molti filmati lo dimostrano), vagano per le strade e per le campagne, fenomeno che ha portato a sua volta anche ad una militarizzazione della zona. In barba all’integrazione, sono stati praticamente deportati nel Villaggio richiedenti asilo da tutt’Italia, che magari avevano già iniziato proprio un percorso di integrazione. Contestata è anche la speculazione sul fenomeno, denunciata da varie associazioni: il Residence, infatti, non è di proprietà statale (il che avrebbe fatto risparmiare diversi milioni di euro), ma della Pizzarotti & Co. S.p.a. che, disdetto l’affitto da parte della US Navy, certo non se la sentiva di lasciar decadere il suo residence. Immigrazione diventa sinonimo di speculazione, e, piuttosto che optare per un luogo pubblico, s’è preferito far fronte ad una spesa decisamente onerosa. Insomma, il sovraffollamento, il collocamento forzato di migliaia di persone in un’unica zona che presenta già delle serie problematiche in termini di lavoro, la ghettizzazione di un luogo che, visti i presupposti, non potrebbe essere tra i migliori per un processo di integrazione, sicuramente non possono fare da soluzione per un problema serio come quello dell’immigrazione; immigrazione che anzichè arricchimento culturale, che anzichè sfociare nella reale accoglienza diventa un problema da risolvere. La politica sembra però più interessata alle urla e agli scontri piuttosto che a cercare una vera soluzione. Come andrà a finire? Ai posteri l’ardua sentenza.
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