Bob Marley: trent’anni fa moriva il profeta del reggae

L’11 maggio 1981 si spegneva all’età di trentasei anni Bob Marley, una delle icone musicali più celebri del secolo scorso. Sono passati trent’anni e la leggenda non accenna a tramontare, un mito prodotto dai ricordi che il profeta del reggae ha lasciato come un’impronta indelebile su tutte le generazioni che gli sono seguite. Un mito creato dalla forza delle parole e delle melodie, che hanno reso Bob Marley una delle autorità musicali e politiche più importanti della storia contemporanea. Con la propria arte ha contribuito a evitare una guerra civile in Jamaica e a formare la coscienza di milioni di persone che ancora oggi si identificano con le storie di oppressione, deportazione, schiavitù, abusi, ma anche d’amore, quell’amore universale e spirituale di cui Bob parlava nelle sue canzoni. Bob Marley ha voluto comunicare al mondo intero che la musica può superare anche le catene della schiavitù. “We free the people with the music, can we free people with music?” recita il testo di Trench Town, concetto ripreso da Will Smith nel film Io Sono Leggenda, dedicato appunto all’artista jamaicano. Bob Marley sosteneva di poter curare il razzismo e l’odio tramite iniezioni di musica e amore nella vita delle persone. Oggi la sua immagine è diventata un’icona tra le più viste e sfruttate di tutto il pianeta e le nuove generazioni contribuiscono a rinnovare l’attualità del suo messaggio continuando ad ascoltare la sua musica. E’ infine interessante notare come in Africa sia in atto un fenomeno di rinegoziazione della primogenitura del reggae. Un sacco di musicisti africani si ispirano a questo genere rivendicandone l’appartenenza dal momento che, essendo la Jamaica un’isola prevalentemente abitata da ex schiavi afrodiscendenti, oggi il reggae “torna a casa” ritrovando le sue radici nell’Africa contemporanea.

Mauro Carosio

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