TUTTI I NUMERI DI ZERO | Compie sessant’anni il cantautore più amato d’Italia

Superato il traguardo dei sessanta sono d’obbligo tanto le celebrazioni quanto i bilanci. Se è vero che in matematica lo zero non conta, è anche vero che in sua assenza i calcoli diventano problematici. Tirando le somme: trenta album, più di trecento brani editi e oltre trenta milioni di dischi venduti in Italia e nel mondo. Basterebbe questo a consacrarlo quale indiscutibile mostro sacro. I primati di Zero però non si fermano qui; se enumerassimo ad esempio i suoi celebri costumi di scena ne ricaveremmo un’autentica cifra da guinness. Zero è primo in pole-position anche per quanto concerne le quotazioni collezionistiche (le sue prime emissioni discografiche RCA sono ricercatissime e battute all’asta a prezzi di tutto rispetto). Ma Zero non è solo “quantità”. Zero è soprattutto Qualità. Genio. Coerenza. Avrebbe tutte le carte in regola per essere un artista di nicchia, e invece, fatto strano per un Paese cattocentrico come il nostro, questa nicchia negli anni si è allargata oltremisura fino a chiamarsi Stadio Olimpico. Merito innanzitutto della sua proverbiale trasversalità, che da sempre lo ha reso fruibile a fasce altamente diversificate di pubblico. Definirlo semplicemente un cantautore sarebbe riduttivo e fuorviante. Zero ha coniato una formula performativa tutta sua, capace di unire insieme in un singolare linguaggio multimediale musica, poesia, circo e teatro; sul suo palcoscenico convergono innovazione e tradizione, commozione e trasgressione, lirismo e ironia, ma senza cesure, in un tutt’uno fluido e omogeneo.

Il rapporto tra artista e pubblico meriterebbe un capitolo a sé, perché va ben al di là della consueta interposizione tra cantante da una parte e spettatori dall’altra; quello che lega Renato ai suoi sorcini è un vero e proprio rapporto d’amore, suggellato concerto dopo concerto dai primi anni Settanta fino ad oggi. Si veda a tal proposito il brano Unici, che celebra e sancisce questo suggestivo sodalizio corale: “…Un brindisi agli Unici. Solleviamo questi calici. Premiamoci!” Renato Zero lo si potrebbe definire un cocktail tra Oscar Wilde, PierPaolo Pasolini e Anna Magnani (e scusate se è poco), anche se, per uno che ha deciso di chiamarsi “Zero” già all’età di quindici anni, ogni definizione è elusa a priori e respinta al mittente. Di Wilde sfoggia l’elegante irriverenza e il gusto per il paradosso; di PierPaolo quella disperata saggezza e certe umbratili impenetrabilità; della Magnani, infine, ritroviamo quella romanità schietta ed estemporanea, malinconica e “impunita”. Gli ingredienti ci sono tutti, o quasi. Zero, al di là di certe similitudini, è soprattutto l’identikit di sé stesso (come cantava nel ’78 in Io uguale io).

C’è poi lo Zero circense e pifferaio che chiama in adunata le orde di zerofolli, lo Zero predicatore e antiabortista, lo Zero mignotta, lo Zero istituzionale (da Rai Uno in prima serata) e lo Zero degli emarginati (sotto il mitico tendone itinerante), lo Zero cantautore e lo Zero interprete, lo Zero trasformista-istrionico e lo Zero intimista, lo Zero dicotomico che parla di sé in terza persona e quello che (in Presente) fa pace con se stesso, lo Zero de I migliori anni… e quello della meno nota Naturalmente strano. A ciascuno il suo, un po’ a lui e un po’ a lei, senza dimenticare nessuno. L’arte, in fondo, nasce sempre da un bisogno di seduzione. La poliedricità, il polimorfismo e l’eclettismo non fanno di Zero qualcuno che è al tempo stesso tutto e il contrario di tutto, hanno invece il merito di amplificare al massimo grado la sua trasversalità, la sua capacità (invidiatissima) di saper parlare a tutti vestendo i panni di tutti, e di assemblare in un’unica platea target di pubblico agli antipodi, impensabili in altri contesti (dall’intellettuale più esigente alla casalinga di Voghera). La musica, d’altra parte, è per definizione un linguaggio universale. Tutti questi aspetti, solo apparentemente antitetici, concertano l’uno con l’altro in costante equilibrio, senza prevaricazioni. “…Unico. Altre facce non ho. Se c’è un doppio però è un baro. Chiaro?!” Un’arma a doppio taglio quella dell’ambiguità, specie se accompagnata da uscite infelici in questa o in quell’altra intervista, ma che alla fine mette d’accordo tutti (e va da sé che, in Italia, uno Zero sincero e spregiudicato fino in fondo non sarebbe mai sopravvissuto). Zero sa bene che il palcoscenico è un gioco di equilibri fragilissimi, un ammiccamento intermittente, un dosaggio perfetto tra verità e finzione, …e che quindi è più prudente mantenersi un passo a destra e uno a sinistra, un po’ avanti e un po’ indietro, ma sempre meglio al centro, nel cerchio rassicurante dell’occhio di bue.

Quella di Zero è una personalità molto complessa, per certi versi anche irrisolta, coerente ma al tempo stesso contraddittoria, plateale ma blindatissima, refrattaria a qual si voglia uniforme o etichetta. “…Rifiuto l’uniforme, gli inviti della pubblicità. Pranzo coi neri, ceno coi rossi, mi fidanzo con chi mi va. Io sono strano.”; “…Quell’etichetta, non c’è via di mezzo: è pettegolezzo o mania.”; “…E, se puoi, non farti mettere in divisa.”; “…Odio il grigio-verde, e poi quest’elmetto mi sconvolge i capelli!”; “…Nascondi quell’amore innocente, che non finisca in piazza anche lui. Non reggerà a tanta meschinità, chiacchierato come sarà.”. E’ come se al darsi venisse a contrapporsi la paura di esporsi o, meglio ancora, la necessità di preservarsi. Tematiche, queste, che lo Zero-pensiero porta avanti dal lontano 1973, dal Paleobarattolo fino all’ultima fatica discografica del 2009. Il suo vastissimo repertorio vanta capolavori come: Qualcuno mi renda l’anima, L’Aquilone Piero, Più o meno, Siamo eroi, Accade, L’ultimo guerriero, Anima grande, Magari, Per non essere così, Amico assoluto, La tua idea… brani che hanno anticipato i tempi con incredibile lungimiranza, e che ancora oggi, a distanza anche di trent’anni, si mantengono attualissimi tanto per le tematiche affrontate quanto per le sonorità. Che altro aggiungere… I numeri Renato ce li ha tutti. Zero compreso.

“E’ meglio fingersi acrobati
che sentirsi dei nani”
(La tua idea, 1979)

Massimiliano Sardina

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