“La sceneggiatura è un lavoro di pazienza… Ho fatto anche delle sceneggiature da sola… ma il ricordo di quei lavori non mi è caro come quello delle lunghe sedute con i colleghi…”
Queste parole racchiudono un universo fatto di umiltà, caparbietà e scambio incessante con gli altri.
E’ la voce di Suso Cecchi D’amico che emerge dal libro autobiografico “Storie di cinema (e d’altro) raccontate a Margherita D’Amico” una testimonianza che rende intangibile il segno che la regina incontrastata della sceneggiatura italiana, da poco scomparsa, ha lasciato nel cinema italiano.
Nata a Roma il 21 luglio del 1914 da padre critico letterario e madre pittrice, ha mantenuto un temperamento ribelle, ostinato che l’ha portata a lasciare una carriera ministeriale per seguire il cinema esordendo con la sceneggiatura del film Mio figlio professore di Renato Castellani.
Era il 1947 quando con il film Vivere in pace, sceneggiato con Piero Tellini e Luigi Zampa, Suso vinse il suo primo Nastro d’Argento come miglior soggetto. Un giusto apprezzamento alla prima donna di Cinecittà che da quel momento avrebbe firmato le sue più belle sceneggiature.
Come emerge dal suo libro, il suo percorso artistico si è fuso con quello personale divenendo lei stessa l’eroina narrata nelle sue trame. La sua scrittura era caratterizzata dalla chiarezza sia nel descrivere argomenti legati all’infanzia come in Proibito rubare di Luigi Comencini oppure un complesso dramma intimista come Vaghe stelle dell’orsa di Luchino Visconti.
Una vita come un romanzo che ha raccontato 107 film sottolineando le emozioni di grandi attori come Aldo Fabrizi, Anna Magnani, sua grande amica, Silvana Mangano e di registi che hanno segnato un solco profondo nel mondo della celluloide: Luigi Comencini, Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica. Ma è con Luchino Visconti che il suo dialogo trova una dimensione feconda di espressioni: da Le notti bianche a Senso, da Rocco e suoi fratelli a Ludwig.
Suso, firma tutti i più grandi capolavori del regista milanese tracciando un solco indelebile in un cinema di rara eleganza e grande spessore culturale. Una scrittura per il cinema che diviene la scrittura del cinema del pathos, dell’istinto nei personaggi di Maddalena Cecconi, interpretata da una strepitosa Magnani, in Bellissima o quello di Ludwig II Wittelsbach, interpretato da Helmut Berger in Ludwig. L’espressione di Suso Cecchi D’amico ha conferito alla settima arte le parole esatte per consegnare questi capolavori all’immortalità.
Antonello Morsillo
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